Michele Zagaria dal carcere dà ordini al fratello Carmine

Il messaggio affidato alla cognata Tiziana Piccolo: "Non deve prendere neppure una multa, mi fa morire!"

Nelle foto in alto, da sinistra, Tiziana Piccolo, il marito Carmine Zagaria e la cognata Elvira. Nello scatto in basso, invece, Michele Zagaria dopo il blitz della Mobile nel bunker di via Mascagni

CASAPESENNA – E’ in prigione da otto anni, ma continua a sentirsi braccato. Michele Zagaria va in tilt quando si parla di Ciccio ‘a benzina, il marito della sorella Elvira (morto il 21 dicembre del 2011 per un problema al cuore). Si arrabbia quando le inchieste dell’Antimafia ‘gli toccano’ la famiglia. Vorrebbe che i suoi ergastoli bastassero a proteggere l’impero criminale creato in 16 anni di latitanza. “Non ce ne vogliono far uscire, hai capito?”, spiegava a Tiziana Piccolo, la moglie del fratello Carmine. Era il 2017. Oggi il boss di Casapesenna sembra instabile, fuori fase: si sbraccia, urla e piange nei processi. E nel caos che crea continua a lanciare messaggi. Cerca di reagire ai colpi inferti dalla Dda: arresti, confische e pentimenti lo stanno mettendo nell’angolo.

L’ordine del boss

Ma già due anni fa, parlando con i familiari, si mostrava agitato: sentiva (sente) il fiato sul collo degli investigatori. Non sul suo, in cella dal 2011, ma su quello dei propri sodali, dei politici che lo hanno protetto, degli imprenditore che hanno investito e riciclato il denaro del clan. “Perciò stiamo attenti”, si raccomandava alla cognata. Era il secondo giorno d’estate. Si trovava ancora nel carcere di Opera, a Milano (ora è a Tolmezzo). In quell’ora di colloquio con la madre, i nipoti e la Piccolo diede un ordine fondamentale: dettò ai parenti la strategia per ‘difendersi’. Quale? Quella del silenzio. Dovevano trasformarsi in fantasmi per far tornare la quiete. Staccarsi un po’, continuare a scriversi ma ‘slegarsi’ e se possibile andare via dalla provincia. E il principale destinatario del ‘comando’ era Carmine Zagaria: il fratello che da poco era tornato in libertà. Ma non doveva prendere iniziative: “Io penso che si deve combattere – suggeriva, invece, Tiziana Piccolo -. Tanto comunque i problemi ci sono. E’ inutile, nessuno ce li può togliere, dobbiamo cercare di risolverli e vedere come ce ne possiamo uscire…”. Ma il boss in mente aveva (ha) altro: “Ora te lo dico bello chiaro, pure se sentono, non me ne frega proprio… – attraverso il vetro guardava fisso la cognata -. Digli a tuo marito, ho detto così: ‘Se ti fai fare una multa per la cintura di sicurezza lo fai morire, hai capito? … Figurati se fai una cosa in più’. Devi dire: solo che sento che ti hanno fatto una multa per la cintura di sicurezza… Che non la può nemmeno portare la macchina”. “Cammina con la bicicletta”, rispose la donna, quasi per stemperare i toni. Michele Zagaria, però, non aveva né tempo né voglia di scherzare: “Lo stop dietro la bicicletta, ha detto: lo fai morire”. Doveva avere un comportamento specchiato. “Hai capito? Perciò devi dire: ‘Mettiti dentro e zitto, mettiti dentro, mettiti dentro e cresciti a questo (indicando il nipote), fai fare secco a questo chiattone’”.

“Io sto agitato”

Un messaggio chiaro. Far passare la tempesta. Perché la mafia si muove quando c’è silenzio, senza riflettori. Azioni eclatanti, cercava di far capire ai familiari, si sarebbero ritorte contro ai business e alla loro struttura. “Io sto agitato, mi sono spiegato? – continuava il capoclan -. Però non è agitazione di cose brutte… di cose così… è agitazione che sono sempre agitato, capito? Però non è agitazione di, come ti voglio dire – il boss strofinava pollice ed indice di entrambe le mani – come ti voglio dire, dai, di cose brutte no. Prima ero diventato anche così ora no”. Altro segnale: serviva (serve) stare in silenzio, tranquillizzarsi perché economicamente la cosca (la famiglia) poteva resistere. Il denaro era ancora al sicuro. L’unico che poteva ‘muoversi’, lasciò intendere ai parenti, era lui, il capo. “Stai agitato per una condizione, però in realtà stai tranquillo”, commentava la nipote. “E’ agitazione, è agitazione che mi devo difendere”, spiegava Capastorta. “E’ perché loro voglio arrivare allo scopo loro”: Tiziana si riferiva al tentativo di farlo collaborare con la giustizia. “Eh ma allo scopo loro – la rassicurava l’ergastolano – non ci arrivano, mi dispiace. […] Perché se voi avete capito che questa persona, piuttosto, piuttosto fa qualcosa di strano, ma non quello che dite voi (il pentirsi, ndr.), allora io dico che dovrebbero tenere… Non hanno il cuore forte come il nostro, hanno il compito di fare il loro mestiere. […] però io dico, se viene dall’alto, viene dall’alto, perché qua non è uno, mi sono spiegato?… E’ tutto insieme che funziona in questo modo. […] Allora io mi devo difendere da tutti”.

Il processo

Il boss, nei colloqui, parla in modo veloce: salta da un argomento all’altro, ma chi lo ascolta riesce a seguire una traccia sottesa, fatta di gesti e mezze parole. E seguendola riesce a comprendere cosa realmente vuole dire. Un atteggiamento pericoloso, che mostra come il clan, nonostante l’azione repressiva degli inquirenti, è ancora attivo. La trascrizione del colloquio del giugno 2017 intercettato in carcere è stata depositata dal pm Maurizio Giordano nel processo a carico del boss in corso a Napoli Nord. Michele Zagaria, difeso dall’avvocato Paolo Di Furia, è accusato di aver continuato a guidare la cosca dalla prigione nonostante il 41bis, proprio attraverso gli incontri con i familiari e nei suoi interventi in videocollegamento durante le udienze. Il dibattimento, che si sta celebrando dinanzi al presidente Francesco Chiaromonte, riprenderà a gennaio.

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