SAN DIEGO (LaPresse/AFP) – Omar Qudrat nega qualsiasi contraddizione nel fatto che lui, musulmano figlio di genitori afghani, possa essere un repubblicano nell’era di Donald Trump. Questo candidato al Congresso, in corsa per il 52esimo distretto della California nelle elezioni di Midterm del 6 novembre, è convinto che il Gop sia ancora un partito della diversità. Nonostante la retorica dell’attuale presidente.
Chi è Omar Qudrat
“Sono americano. Sono nato e cresciuto in questo Paese”, dice ad AFP. “Siamo un partito molto diversificato. Non sono solo parole, la mia candidatura a San Diego è sostenuta da molti deputati del Congresso. E questo non ha nulla a che fare con le mie origini o la mia religione”, assicura.
Che lo voglia o no, in caso di vittoria Omar Qudrat, 37 anni, diventerà il primo repubblicano musulmano a occupare un seggio al Congresso a Washington. Rappresentando peraltro uno Stato a maggioranza democratica quale la California. La Camera dei rappresentanti conta già due deputati ufficialmente musulmani – Keith Ellison e Andre Carson – ma entrambi democratici. Ma per Qudrat l’etichetta conta poco. “La mia corsa per il Congresso ha a che fare con la realtà e con i problemi reali”, dice liquidando le “politiche di identità”. “Non penso che la religione sia una qualifica”.
Quando Trump ha deciso di introdurre il ‘travel ban’ o ‘muslim ban’, cioè il divieto di entrare negli Usa per i cittadini originari di diversi Paesi musulmani, Qudrat non è insorto. Sottolineando anzi il suo passato di impiegato al ministero della Difesa e dicendosi sensibile ai problemi di sicurezza nazionale.
Un musulmano repubblicano nell’era di Trump
Decisamente prudente, si guarda bene anche dall’evocare l’imbarazzante collega repubblicano Duncan Hunter, anche lui candidato in California, travolto dagli scandali per accuse di appropriazione indebita di fondi: in corsa contro il democratico Ammar Campa-Najjar, nato da padre palestinese e madre messicana, ha brandito la minaccia dei “musulmani integralisti che provano a infiltrarsi nel governo”, nonostante il suo rivale sia in realtà cristiano. “Devo parlare delle questioni che interessano la mia circoscrizione e di nient’altro”, taglia corto Omar Qudrat, che nei sondaggi è per ora dietro al rivale Scott Peters, deputato uscente che accusa di fare “false promesse”.
La scelta politica
Figlio di immigrati, assicura di non essere mai stato vittima di discriminazione nel suo Paese. Cresciuto a Los Angeles in un quartiere difficile in cui le gang ai tempi facevano regnare la loro legge e le sparatorie erano frequenti, andava in quinta elementare quando una gang provò a reclutarlo per la prima volta e un anno dopo gli fu già proposto di comprare un’arma da fuoco per soli 25 dollari, una pistola 25 mm. “Vi dirò perché sono repubblicano”, ha detto recentemente a un comizio all’università di San Diego. “Non credo al governo ma credo nella gente”.
Secondo quanto racconta, è dai genitori – ardenti sostenitori del presidente Ronald Reagan che armava i mujahidin afghani contro l’occupazione sovietica – che ha imparato “la determinazione e la fiducia in sé”. Delle qualità che a suo parere “si accordano di più con la filosofia politica dei repubblicani”.
La formazione e le idee politiche
Dieci anni dopo gli attacchi dell’11 settembre Qudrat, che parla correntemente dari (una delle principali lingue dell’Afghanistan) ed è laureato in giurisprudenza e relazioni internazionali, ha lavorato per il dipartimento della Difesa Usa in Afghanistan, dove ha contribuito a rimettere in piedi il sistema giudiziario. Ha poi lavorato con la procura militare, partecipando agli interrogatori dei detenuti nella prigione speciale di Guantanamo.
Qudrat pensa che gli Usa debbano porre fine alla guerra in Afghanistan e “farlo in un modo responsabile che assicuri che l’Afghanistan non diventi di nuovo un porto sicuro per le reti terroristiche che possono complottare e attaccarci con impunità”. Come ogni repubblicano, è contrario all’aborto e a favore di un taglio delle imposte. E difende i risultati economici di Donald Trump anche se afferma che potrebbe fare di più per unire gli americani.
I punti di contatto con il tycoon
È d’accordo con il tycoon sulla necessità di controllare la frontiera con il Messico ma si rifiuta di commentare l’idea del muro al confine. Infine si augura una soluzione per i ‘dreamers’, i bambini entrati negli Usa da piccoli con i genitori migranti illegali, che rischiano di essere espulsi anche se non hanno più alcun legame con il loro Paese d’origine. “L’America è il Paese più generoso e compassionevole sulla terra” ma, sottolinea, “abbiamo delle leggi”.