ROMA – A sei anni dal naufragio del 2013 costato la vita a 268 persone, due ufficiali vanno a processo con l’accusa di rifiuto d’atti d’ufficio e omicidio colposo. Leopoldo Manna e Luca Licciardi, responsabili all’epoca dei fatti delle sale operative di Guardia costiera e Marina, secondo le accuse non agirono come l’emergenza imponeva. L’intervento di soccorso scattò ore dopo il primo sos, quando tanti dei naufraghi erano già morti. Le vittime erano perlopiù cittadini siriani, in fuga dalla guerra civile. Sessanta tra loro 60 bambini.
Il naufragio del 2013
Il naufragio risale all’11 ottobre del 2013, a largo di Lampedusa, ma in zona maltese ‘Sar’ (‘search and rescue’, cioé ‘ricerca e soccorso’). Tutto avvenne in meno di cinque ore: le disperate chiamate per chiedere aiuto, arrivate a partire dalle 12.30 dall’imbarcazione danneggiata. Che ospitava quasi 400 persone e il rimpallo di responsabilità tra soccorritori italiani e autorità maltesi.
Alle 17.07, quando l’imbarcazione si capovolse, sul posto non era ancora arrivato nessuno dei soccorritori. E quando giunse la nave ‘Libra’ della Marina militare italiana, la maggior parte dei naufraghi era affogata. In mare vennero recuperate 26 salme e solo dalle drammatiche testimonianze dei sopravvissuti emerse il tragico bilancio.
La decisione del tribunale di Roma
Nel novembre del 2017, il tribunale di Roma aveva detto no a una prima richiesta di archiviazione avanzata dalla procura. Archiviando le posizioni di quattro militari, ma non quelle di Licciardi e Manna. Il primo, all’epoca dei fatti, era l’ufficiale più alto in carica del Cincnav, braccio operativo dello Stato maggiore della Marina. Manna, invece, in quel periodo era l’ufficiale più alto in grado del Centro italiano di coordinamento soccorso marittimo (Imrcc) della Guardia costiera. Sulla stessa vicenda è stata chiesta l’archiviazione della posizione di Catia Pellegrino, coinvolta perché al comando della nave Libra.
(LaPresse/di Alessandra Lemme)