LESBO – Di nuovo qui, occhi negli occhi, davanti a sguardi “carichi di paura e di attesa, solcati da troppe lacrime”. Papa Francesco torna tra i migranti di Lesbo dopo 5 anni, quando dall’isola e dal campo di Moria portò in salvo, sul suo stesso aereo, 12 rifugiati siriani.
Dopo tutto questo tempo, dopo tutte le promesse mancate dei grandi della terra, nulla è cambiato. Non muta l’atteggiamento di tanti Paesi, i più lontani dai confini d’Europa, soprattutto, che continuano a trattare il dramma delle migrazioni forzate come “un affare che non li riguarda”. E mentre i governi sono impegnati nella lotta al Covid e nella protezione del clima, con le vite umane “latitano terribilmente”. Questo “sciabordio dell’indifferenza”, denuncia Bergoglio, è un “naufragio di civiltà”.
Il centro di accoglienza e identificazione di Mitilene ha sostituito l’enorme campo di Moria, distrutto in un incendio nel 2020. La città ha 10mila abitanti locali e il campo ospita a piena capienza fino a 8mila migranti, circa 2.200 in questo momento, secondo la Caritas locale, per le motivi di pandemia. La metà è non accompagnata, tra donne e bambini soli. I minorenni sono tantissimi, il 30% del totale.
A loro, soprattutto, pensa il Papa: “Se vogliamo ripartire, guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro”.
I profughi di ‘Moria 2.0’, come lo chiamano sull’isola, quasi tutti dall’Afghanistan, ma ci sono persone anche da diversi paesi dell’Africa e la maggior parte è passata per la Turchia prima di approdare a Lesbo, appena 5 miglia al largo. Il campo trova davanti al Mediterraneo, da dove arrivano in tanti. Quel “Mare Nostrum” che si è trasformato in un desolante “Mare Mortuum”, dice Francesco, “freddo cimitero senza lapidi”. Nella distrazione generale, però, “si offende Dio”. E per di più in nome di “presunti valori cristiani”.
Le ‘soluzioni’ proposte da alcuni leader sono per Bergoglio peggiori del problema: “È triste sentir proporre l’impiego di fondi comuni per costruire muri” , sospira. Eppure la storia dovrebbe insegnare: “Chiusure e nazionalismi, la storia lo insegna, portano a conseguenze disastrose”.
Della nostra inviata Maria Elena Ribezzo