MILANO – Vent’anni fa il rombo di un piccolo aereo squarciò il cielo di Milano. Un velivolo si andò a schiantare contro il 26esimo piano del grattacielo Pirelli, il Pirellone, simbolo della città e allora sede della Giunta e del Consiglio regionale. Tre furono le vittime, due avvocatesse della Regione Lombardia, Alessandra Santonocito e Annamaria Rapetti, oltre al pilota del velivolo Luigi Fasulo; circa 70 i feriti.
Il 18 aprile 2002 la paura percorse le vie del capoluogo lombardo quando alle 17:45 l’aereo da turismo CEST l’HB-NCX si scontrò contro il Pirellone, sprigionando immediatamente un vasto incendio, che venne domato solo dopo alcune ore.
Il ricordo degli attentati dell’11 settembre a New York era ancora vivo e lo schema dell’incidente faceva pensare a un attacco terroristico sul suolo italiano. L’allora presidente del Senato Marcello Pera e il vicepresidente della regione Lombardia, Piergianni Prosperini parlarono di terrorismo islamico, ipotesi che, con il passare delle ore, andò a cadere nel vuoto.
Le indagini si concentrarono allora sul pilota, Fasulo, 67 anni, originario dell’avellinese ma da tempo residente a Pregassona, vicino Lugano, in Svizzera. Preso il brevetto di volo per piccoli aerei nel 1980, al momento dell’incidente aveva circa 5mila ore di volo in carriera, quindi aveva una certa esperienza che però quel giorno non gli bastò.
Le indagini ricostruirono in parte quello che accadde nei cieli tra Milano e la Svizzera, da dove alle 17:15 Fasulo decollò dall’aeroporto di Locarno-Magadino. Il piano di volo prevedeva una sosta a Linate per il rifornimento e il volo di ritorno fino all’aeroporto di Lugano-Agno con atterraggio previsto alle 18.15, ma qualcosa andò storto.
Alle 17.33 Fasulo comunicò alla torre di controllo di Linate di essere pronto a entrare al cancello ovest, cioè il punto di entrata per il traffico aereo, e chiese istruzioni. In risposta, dalla torre gli chiesero se guidava un elicottero o un apparecchio ad ala fissa, cosa che gli venne chiesta per due volte, senza ottenere risposta, mentre Fasulo continuava a chiedere di poter entrare sulla pista 36 L che aveva già usato.
Dalla torre gli dissero di usare un’altra pista e da lì la situazione precipitò, forse a causa di un problema al carrello che avrebbe costretto Fasulo a inserire il pilota automatico. Complice anche il riverbero del sole e i tanti comandi e spie accesi, non si accorse dell’errore finché non entrò in rotta di collisione con il grattacielo senza riuscire a evitare lo schianto.
A fine 2002, nella relazione d’inchiesta riguardo all’incidente, l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza al Volo indicò come “la causa più probabile dell’incidente è da ricercare nella incapacità […] di gestire in maniera adeguata la condotta della fase finale del volo in presenza di problematiche tecnico-operative e ambientali”, ritenendo “ragionevolmente improbabile l’ipotesi di una azione autodistruttiva del pilota”.
“Il ricordo di quei terribili momenti è ancora vivo”, ha scritto sui social il presidente della Regione Attilio Fontana, allora presidente del Consiglio Regionale. Oggi, al 26esimo piano del grattacielo, c’è un memoriale che ricorda le vittime di quel giorno di paura.