Minacce al magistrato Maresca. Evocati i Casalesi e l’ala stragista di Setola: “Ci vorrebbe un altro Totò per farvi saltare in aria”

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Foto LaPresse - Gerardo Cafaro 16/12/2015 Napoli cronaca Presentazione del libro " Male Capitale. La misera ricchezza del clan dei Casalesi" edito da Giapeto Editore , di Catello Maresca Nella foto: Catello Maresca Photo LaPresse - Gerardo Cafaro 16/12/2015 Naples (Italy) news Presentation of the book " Male Capitale. La misera ricchezza del clan dei Casalesi" In the pic: Catello Maresca

CASAL DI PRINCIPE – Un flusso di parole cariche d’odio, comparso durante una diretta su TikTok, ha riportato in primo piano la pericolosità dei Casale si e la fragilità dei social come nuova arma di intimidazione. Il bersaglio è Catello Maresca, magistrato (ora consigliere comunale a Napoli), che ha preso parte in prima linea alla lotta alla mafia dell’Agro aversano quando era nella Dda di Napoli (ha coordinato
l’inchiesta che ha portato alla cattura del latitante Michele Zagaria). Le frasi apparse in sovrimpressione durante la diretta dell’ex pm sono inequivocabili: “Se ti acchiappa Sandokan”, in riferimento a Francesco Schiavone, storico boss casalese detenuto al 41 bis, e ancora: “Fece bene Totò Riina, ci vorrebbe un altro Totò per far saltare in aria te, Gratteri e Nordio”. A diffondere queste frasi è stato un contatto che richiamava la figura Giuseppe Setola, capo dell’ala stragista dei Casalesi (condannato all’ergastolo). Un linguaggio mafioso esplicito, che non si limita a colpire Maresca ma allarga il tiro al procuratore di Napoli Nicola Gratteri e al ministro della Giustizia Carlo Nordio, prendendo a modello addirittura il capo di Cosa Nostra morto in carcere.

«L’episodio assume contorni ancor più inquietanti alla luce del ritorno fisico dei Casalesi sul territorio, favorito dalle recenti scarcerazioni: non più soltanto attraverso il racket delle estorsioni, ma anche con atti dimostrativi violenti, come i raid armati. Una recrudescenza alla quale l’Antimafia ha già risposto con diverse operazioni che hanno riportato in cella chi, una volta uscito, si era rituffato nel crimine. Le minacce digitali, in questo scenario, si affiancano alle intimidazioni sul campo, creando un doppio livello di pressione. Non è un mistero che, spesso, i cellulari introdotti illegalmente nelle carceri finiscano nelle mani dei detenuti dei clan: da lì partono messaggi, offese e ordini che trovano nei social una cassa di risonanza immediata. Una deriva che, se non controllata, rischia di trasformare piattaforme nate per l’intrattenimento in megafoni criminali. Dopo le nuove minacce, è arrivata la solidarietà della società civile. “Catello non sei solo”, ha scritto in una nota Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Caponnetto. Un messaggio che si affianca all’allarme lanciato dal mondo giudiziario: la camorra continua a cercare spazio, e la sfida oggi si gioca anche sul terreno insidioso dei social network.

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