“Mio marito non era un camorrista”

"Mio marito non era un camorrista"
"Mio marito non era un camorrista"

NAPOLI – Si arrangiava facendo lavoretti nel quartiere, Antimo Imperatore, che ieri mattina stava tenendo fede all’impegno preso di montare una zanzariera in un ‘basso’ in via Eugenio Montale, nel suo quartiere, il Rione Fiat. Un intervento come tanti che gli avrebbe consentito di guadagnare la ‘giornata’. Poche decine di euro per acquistare lo stretto necessario per il pranzo e la cena. Forse addirittura meno: “Un pacchetto di sigarette”, era questa spesso la sua ‘tariffa’, raccontano i residenti. Una vita semplice, senza fronzoli, spazzata via dalla mano spietata della criminalità organizzata. Pochi minuti dopo l’agguato, via Montale è stata invasa dai familiari del 55enne. Tutti sotto choc per il dramma, tutti increduli alla vista del corpo senza vita di Antimo: una persona innocente ammazzata mentre lavorava. “E’ morto per 20 euro”, le urla dei parenti, che hanno subito voluto mettere in chiaro che Imperatore era totalmente estraneo ai clan e ai contesti criminali del quartiere. “Mi marito non c’entrava nulla con la camorra – le parole della moglie, Nunzia Lepre, disperata nonostante la voce ferma e decisa – Anzi, se vedeva una pistola scappava. Se si è trovato in quell’appartamento è soltanto per un pacchetto di sigarette. Ma ci ha rimesso la vita. Lavorava anche per dieci euro, tant’è che nel quartiere lo chiamavano ‘Robin Hood’. Non ha mai fatto del male a nessuno. Mio marito era incensurato, non ha mai avuto problemi con la legge. E ora la nostra famiglia chiede e pretende giustizia per una vittima innocente”. Originario di Pozzuoli, Antimo viveva a Ponticelli da 40 anni. Nel Rione Fiat lo conoscevano tutti come il tuttofare del quartiere, un uomo che – per il bene della famiglia – era disponibile a eseguire qualsiasi lavoro di manutenzione. Ne ha riparati di rubinetti, ne ha montate di zanzariere, e quante porte e finestre guaste ha ripristinato. Spesso anche senza essere retribuito. “Era una persona buona, un lavoratore onesto – si sfoga una nipote sui social – Mio zio era sempre pronto ad aiutare tutti. Gli è stata tolta la vita per colpa di persone che non sono umane, ma bestie”. Pensieri espressi anche da un fratello e un nipote, accorsi sul posto dopo aver ricevuto la telefonata che nessuno vorrebbe mai ricevere. “Se quando usciamo la mattina per guadagnarci il pane dobbiamo metterci il giubbotti antiproiettile, che ce lo dicano”, la rabbia del nipote. E poi ancora: “Mio fratello, in 40 anni che ha vissuto a Ponticelli, non ha mai mangiato di questa ‘pasta’”, in riferimento alla galassia criminale del quartiere. “Andate in giro a chiedere chi era Antimo e vedrete cosa vi risponderanno. La criminalità è ovunque, ma Napoli fa schifo”. Antimo lascia la moglie, due figlie e due nipotini. “Impazziva per loro. L’unica cosa che chiedo, a nome di tutti quelli che lo amavano, è giustizia. Mio marito è una vittima innocente della camorra”, conclude Nunzia.

Ponticelli si mobilita: “Liberiamoci dai clan”

“Da Pianura a Ponticelli, passando per il centro città: a Napoli lo Stato ha fallito. La gente ha paura di uscire, siamo terrorizzati. Non si può vivere così”. Così Anna Ferrara, commerciante e referente antiracket, commenta il duplice omicidio avvenuto ieri mattina nel Rione Fiat. “Per la politica Ponticelli è soltanto un bacino di voti da visitare durante le campagne elettorali – prosegue – Su questi territori lo Stato ha fallito perché ha voluto fallire. Qui si spara alle sette di sera e alle nove del mattino. Quante altre vittime innocenti dobbiamo piangere prima che le autorità competenti conseguano risultati concreti? Bisogna togliere le pistole dalle mani di queste persone, non marciare o fare summit contro la criminalità. Faccio mie le parole di Federico Cafiero de Raho: tolleranza zero. E lancio un appello al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese: venga qui a Ponticelli a vedere coi propri occhi cosa accade”

Il duplice omicidio di ieri mattina è forse il punto più inquietante e critico della faida che a Ponticelli si trascina da ormai quasi due anni. E a nulla sembrano valere le battaglie delle istituzioni locale. “Lo scorso 20 giugno abbiamo avuto un comitato per l’ordine e la sicurezza nel quale abbiamo rappresentato richieste urgenti su ordine pubblico e proposte di carattere sociale – ricorda Sandro Fucito,  presidente della VI Municipalità – Drammaticamente nulla è avvenuto e si sono susseguite bombe, sparatorie e ieri due omicidi. Una guerra alle quale sembrano rassegnati in tanti, ma duole dirlo anche le istituzioni”.

Il quartiere avrà modo di manifestare una prima reazione al sangue versato in via Eugenio Montale già oggi. Per le 18,30 è stata indetta dal presidio locale di Libera la mobilitazione ‘Liberiamoci dalla violenza’. Il luogo scelto è quello del duplice delitto. “Ed eccoci qui, ancora una volta, a dover sentire tutto il peso civile e morale di un’altra persona innocente uccisa dalla violenza della camorra – dicono i referenti del presidio ‘Vittime 11 Novembre’ -, da una guerra tra clan che continua ad avere al centro il controllo del territorio, delle piazze di spaccio e del ricatto esercitato sui commercianti e i civili. Un uomo è stato ammazzato, colpevole di stare riparando una zanzariera, di vivere in un quartiere popolare, di arrangiarsi nella vita come un precario, come decine di migliaia di persone che vivono in questa città. Negli scorsi mesi abbiamo provato in tutti i modi a mantenere alta l’attenzione sulle violenze che insistono nella città e nella provincia di Napoli: attraverso comitati, mobilitazioni e denunce; attraverso la nostra presenza quotidiana nelle educative territoriali, con le associazioni del quartiere impegnate giorno e notte per costruire un’altra idea di vita e di comunità. Abbiamo reagito quando sono state esplose bombe, dopo agguati e intimidazioni. L’aria a Napoli è irrespirabile in tutti i quartieri e a Ponticelli ieri mattina si è consumata una tragedia”. Quindi l’affondo: “Le risposte della politica continuano ad essere tardive. Servono risposte strutturali in termini di sicurezza e politiche sociali; in termini di posti di lavoro e di politiche educative che accompagnino i minori dentro e oltre la scuola fino ai 18 anni. Noi torneremo in strada a mobilitarci perché il silenzio è complice della camorra e di chi vuole raccontare Napoli come una città indifferente ed assuefatta. Torneremo per le strade perché nonostante il dolore e la stanchezza non ci arrendiamo all’idea che si possa ancora morire per camorra e che Napoli non possa avere le stesse opportunità che invece hanno altri luoghi del nostro Paese. E per questo pretendiamo risposte. Ce la meritiamo questa possibilità. Ci meritiamo un futuro diverso”. 

Un appello condiviso anche dal senatore Sandro Ruotolo: “Siamo stanchi di ripeterlo: il debordare della violenza a Napoli deve diventare questione nazionale. E’ minacciata la convivenza civile e l’incolumità pubblica. A Napoli, in questo momento, potrebbe accadere di tutto. È vero, c’è forte attenzione da parte del ministro dell’Interno, sono stati inviati più poliziotti e rinforzi a Napoli. C’è un grande lavoro della magistratura e di tutte le forze dell’ordine. Ma tutto questo non basta. Lo Stato deve fare di più, intervenire a 360 gradi: mettere mano al disastro sociale, educativo, culturale di intere generazioni lasciate allo sbando e disponibili ad ingrossare le fila del sistema criminale. Ogni anno oltre seimila minori entrano nel circuito carcerario per reati commessi, figli di camorra, in maggioranza recidivi. Al contrario, ce lo dice l’Istat, tanti giovani napoletani e campani preferiscono andare via, scappare e costruire altrove il proprio futuro. Bisogna fare presto, Napoli va disarmata”

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