Roma, 12 set. (LaPresse) – E’ online il sito di Missing at the borders, un progetto nato con l’obiettivo di dare voce al dolore delle famiglie dei migranti deceduti, scomparsi o vittime di scomparsa forzata nel loro viaggio verso l’Europa. L’iniziativa è autofinanziata ed è promossa da una rete di organizzazioni attive su entrambe le sponde del Mediterraneo. Prima tra tutte Milano senza frontiere, in prima linea fin dalla nascita del progetto. Questo insieme a Como senza frontiere, Palermo senza frontiere, Carovane Migranti, Association des travailleurs Maghrèbins de France, Alarm Phone e Watch the Med. Il tutto in collaborazione con le famiglie dei migranti. Il sito internet è lo strumento principale utilizzato da Missing at the borders per dare spazio alle storie e alle testimonianze dei parenti dei migranti. La loro presenza come soggetto politico è infatti ritenuta fondamentale per denunciare le politiche migratorie, sia europee che dei singoli Stati, e le loro conseguenze.
l’iniziativa
Qui vengono pubblicati approfondimenti sul fenomeno migratorio, in particolare nei paesi del Nord Africa come Tunisia e Algeria, e interviste video dove si raccontano aneddoti, percorsi di vita e scelte. Uno spaccato di umanità per ricordare che dietro ai numeri associati al fenomeno migratorio ci sono prima di tutto donne, uomini e bambini. “Anno dopo anno migliaia di persone scompaiono lungo i confini nel corso del loro viaggio migratorio. Si stima che dal 2000 il numero delle vittime abbia superato le 35 mila unità. Quello che Missing at the borders chiede è giustizia, verità e dignità per le famiglie, che l’Ue cessi di esternalizzare la sorveglianza delle frontiere e che sia garantita la libertà di movimento”. Un fenomeno quello dei migranti che viene associato ai desaparecidos argentini, come sostiene Enrico Calamai, ex vice console italiano in Argentina durante gli anni ’70. “La desapariciòn è una modalità di sterminio di massa, gestita in modo che l’opinione pubblica non riesca a prenderne coscienza o possa almeno dire di non sapere”, spiega Calamai.