Napoli, 20 anni al killer di Giògiò. La mamma: “Abbiamo scritto la storia”

NAPOLI – Il tribunale per i minori di Napoli ha emesso la sua sentenza, segnando un punto fondamentale in una vicenda che ha scosso la città e e non solo. Vent’anni di reclusione: questa è la massima pena per il minore coinvolto nell’omicidio di Giovanbattista Cutolo, noto come Giogiò, il talentuoso musicista di soli 24 anni, trucidato in una notte che mai avrebbe dovuto conoscere la violenza.
La storia è dolorosa e intricata, nota a tutta Italia. Il 31 agosto scorso, una lite iniziata per un futile motivo, uno scooter parcheggiato male, ha fatto esplodere la tensione in piazza Municipio a Napoli. In mezzo a urla e rabbia, colpi di pistola hanno interrotto bruscamente la vita di Giogiò, che si trovava lì con i suoi amici.
Il gup Umberto Lucarelli ha accolto la richiesta dell’accusa ed ha condannato al massimo della pena prevista per i minori il 17enne L. B. accusato di aver sparato contro Giogiò. “Fu un omicidio volontario e senza alcuna motivazione” è stata la ricostruzione dell’accusa, condivisa dal giudice che, con rito abbreviato, ha condannato il giovanissimo imputato a vent’anni di carcere. Il giudice aveva rigettato la richiesta di messa alla prova avanzata dall’avvocato Davide Piccirillo per il suo assistito. In aula erano presenti sia mamma Daniela Di Maggio, insieme all’avvocato Claudio Botti, ma anche i familiari del killer che ha confessato di aver sparato, ma senza intenzione di uccidere In aula, mamma Daniela ha dovuto affrontare lo sguardo del giovane imputato, cercando invano tracce di pentimento. “In lui non ho visto pentimento, anzi mi sfidava pure,” ha raccontato con amarezza, mentre l’eco della tragedia risuonava ancora forte nell’aula di giustizia. “Ho dovuto vedere il killer di mio figlio che in carcere sta facendo pure il pizzaiolo. L’ho visto col doppio taglio, tutto bello, che non sapeva articolare un pensiero e rispondeva con una basicita’ di subcultura, con il suo difensore che gli imboccava tutto quello che diceva – ha continuato – Dalla ricostruzione delle telecamere e da tutte le testimonianze si e’ visto che L.B. ha estratto la pistola dai suoi pantaloni per sparare. Ha esploso prima due colpi, poi ha rincorso Giogio’ e gliene ha dato un altro. Tutti e tre i colpi erano mortali, perche’ aveva il gusto di uccidere. Il pubblico ministero ha detto che quella persona poteva fare una strage e uccidere anche altri ragazzi. Se mi ha chiesto scusa? No, sempre sguardo basso anche se eravamo a un metro di distanza. Avrebbe potuto dire ‘signora Daniela vi voglio abbracciare, perdonatemi’, ma non c’è stato un momento di pentimento. E io non perdono, perdonano il Papa e Gesù, io non perdono chi mi ha ucciso un figlio meraviglioso, un ragazzo che poteva dare tantissimo alla società”. Alla fine, però, dopo tanto dolore, la risposta che Daniela Di Maggio e tutti quelli che stanno dalla parte di GiòGiò l’hanno avuta: la condanna alla massima pena per un minore.
“Abbiamo scritto una pagina di storia. Giustizia è stata fatta – ha sottolineato Di Maggio – Vent’anni, l’ergastolo per i minori, li ha avuti tutti, credo sia un segnale potente per tutta la società civile, significa che quando c’è un’indignazione vera e le coscienze si scuotono tutti si muovono intorno a un progetto, a un obiettivo. Tutta Napoli, tutta l’Italia voleva questa sentenza. Ora mi aspetto che adesso i minori non escano più in strada con i coltelli, con i tirapugni e con pistole, e che non uccidano i figli di tante persone per bene, perché ora non si sentono più impuniti. Questa sentenza così importante scrive una pagina di storia, la chiamerei la rivoluzione di Giogiò perché adesso Giogiò aiuterà gli altri e questa è la cosa che più mi interessa”. Questa sentenza non cancella il dolore né restituisce il vuoto lasciato dalla perdita di un giovane talento. Tuttavia, è un passo avanti verso quella giustizia tanto agognata da Daniela Di Maggio e da tutti coloro che hanno gridato il loro dolore e la loro indignazione. La storia di Giogiò rimarrà come un monito contro la violenza e un richiamo alla necessità di risolvere i conflitti senza armi, senza odio, ma con la forza del dialogo e della comprensione.

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