Napoli, agguato al figlio del boss Savio: i sicari non volevano uccidere

NAPOLI – Non volevano ucciderlo, altrimenti probabilmente ci sarebbero riusciti senza grossi ostacoli. Ma volevano dargli una lezione. Incutergli timore. Sì, ma perché? La prima ipotesi porta al solco della criminalità organizzata dei vicoli. Ed è un’ipotesi alimentata, anzitutto, dal profilo della vittima. Un commando di fuoco ha compiuto una spedizione punitiva contro Pietro Savio, 36 anni, figlio del boss redento Mario Savio. Il 36enne si trovava in vico Canale a Taverna Penta, nel cuore dei Quartieri Spagnoli, quando due uomini su una moto hanno fatto fuoco. Una, due, cinque volte. Un proiettile lo ha centrato al gluteo. Quindi la corsa in ospedale, quello più vicino, il presidio sanitario di riferimento degli abitanti del ‘ventre molle’ della città: il Vecchio Pellegrini. Dal nosocomio è partita subito la segnalazione alle forze dell’ordine. Sul posto si sono portati gli agenti del vicino commissariato Montecalvario. Gli stessi impegnati a risolvere l’ennesimo rebus investigativo di una città che, ancora una volta, mostra il suo volto più crudele e spietato.
Riavvolgiamo il nastro. Sono circa le 22 di domenica. I Quartieri Spagnoli sono affollati come sempre. Il solito fiume di persone, clienti dei tanti locali che hanno cambiato faccia alla zona. Savio è in strada. Dal nulla spunta una moto. Le due ruote si avvicinano sempre più a un uomo. E’ il preludio di quella che sarà l’ennesima notte di sangue. I due centauri aprono il fuoco e un proiettile colpisce Savio al gluteo destro. La pallottola, ritenuta, non riduce comunque il bersaglio in pericolo di vita. Tutto intorno, intanto, è il fuggi fuggi generale. Un’azione di fuoco compiuta in pieno centro e in piena movida. Purtroppo, un copione che si ripete a Napoli. Facendo un salto alle indagini, quel che è certo, al momento è che sono almeno due le pistole che hanno fatto fuoco. Una certezza che arriva direttamente dalla questura: da via Medina, infatti, fanno sapere che i bossoli ritrovati sull’asfalto di vico Canale a Taverna Penta sono di diverso calibro.
Ma chi ha voluto punire Savio? Chi ha voluto recapitargli l’ultimatum? Riavvolgiamo di nuovo il nastro. E’ il 25 marzo quando un commando di fuoco porta a termine un raid di piombo contro l’abitazione del 36enne. In quegli ambienti, finalità e moventi di tali azioni sono noti sia a chi le compie che a chi le subisce. Fresco di scarcerazione (è tornato in libertà a settembre, dopo un periodo di detenzione a Sulmona) il suo cognome, tra i vicoli, è di quelli che fa rumore. I Savio, infatti, sono storici alleati dei Ricci, estensione dei Saltalamacchia, a loro volta espressione, ai Quartieri Spagnoli, della potente Alleanza di Secondigliano, il cartello criminale che, secondo la Direzione distrettuale antimafia, controlla la fetta più vasta del territorio napoletano e di quello della provincia. Suo padre Mario sconta l’ergastolo per omicidio. Risulta fin troppo intuitiva l’ipotesi investigativa che lega l’episodio di marzo alla spedizione punitiva di domenica sera. Ma chi ha messo Savio nel mirino? E perché? Interrogativi che gli investigatori della polizia stanno provando a risolvere in queste ore.

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