NAPOLI (Francesco Foco) – Occhio non vede, cuore non duole. Quello dei manager. I pazienti, invece, soffrono eccome. Il Cardarelli è ormai in crisi nera da una settimana eppure nessuno sembra intenzionato ad intervenire. Coloro che dovrebbero sollevare la questione e porvi rimedio sono i primi a nascondere la polvere sotto al tappeto. Facciamo un attimo un passo indietro. Anche ieri il pronto soccorso del più grande ospedale del Sud Italia si presentava come un carnaio.
Decine e decine i pazienti ricoverati in barella nel grande salone adiacente ai reparti di Osservazione breve intensiva (Obi), anch’essi pieni zeppi. Un vero e proprio lazzaretto in quello che dovrebbe essere un corridoio di passaggio e non certo un reparto adibito all’assistenza. Le immagini, ancora una volta, parlano più di mille parole. Essere ricoverati in barella significa non avere privacy, dividere lo stesso ambiente con altre centinaia di persone sofferenti, non avere bagni dedicati, non potersi cambiare liberamente, dover poggiare suppellettili e buste sulla lettiga. Insomma, un inferno.
Raccogliamo la testimonianza di un paziente ricoverato per quattro giorni in quel corridoio della disperazione nonostante una frattura al femore. “Io me ne voglio andare. Sto qui da sabato, oggi è martedì. Tremo durante la notte, ho il femore rotto. Non mi posso alzare, non posso mettere una maglietta pulita, non posso andare in bagno. Non fanno entrare mia moglie per farmi cambiare un po’, ma stiamo scherzando?”. Lamentele rivolte agli infermieri, veri e propri parafulmini senza colpe per una situazione da terzo mondo. Nel corridoio poi girano le guardie giurate per intimare ai pazienti di non fare riprese o fotografie. Bisogna precisare: lo fanno con estrema dolcezza, anche loro probabilmente in difficoltà per delle decisioni prese dell’alto. C’è un clima molto teso. Per tutti: pazienti, infermieri, operatori socio sanitari, personale amministrativo.
Ed è proprio questo il punto. Il pronto soccorso del Cardarelli è bubbone pronto ad esplodere ma chi governa l’ospedale cerca di tenere tutto nascosto. Solo il mese scorso è dovuto intervenire il ministro della Salute Roberto Speranza, sollecitato dai medici e dai sindacati. Niente è cambiato e anzi si cerca di tenere a distanza la stampa, censurare le denunce. Quello che è accaduto alla nostra redazione, ad esempio, ha del grottesco. La scorsa settimana in seguito alla prima denuncia di barelle in corridoio, abbiamo ricevuto una lettera rizelata da parte del direttore sanitario Giuseppe Russo e del Bed manager aziendale Ciro Coppola, in cui maldestramente provavano a smentire la realtà dei fatti, che nei giorni successivi tra l’altro si è manifestata in tutta la sua drammaticità. La tesi dei manager del Cardarelli era curiosa: non si contestava la presenza delle barelle ma il loro numero.
Dimenticandosi, forse, che in quel lungo corridoio non dovrebbe esserci nemmeno un paziente ricoverato. In questi ultimi giorni, poi, si sono ribellati anche gli infermieri e gli Oss, che vedono i carichi di lavoro quintuplicare ogni giorno. Ora sono in stato di agitazione, lo sciopero è dietro l’angolo. La domanda sorge spontanea: perché al Cardarelli la situazione non cambia mai? Perché la più grande struttura di Napoli è un inferno sanitario senza soluzione di continuità? Le responsabilità sono di manager che non vogliono che qualcosa cambi perché equivarrebbe ad ammettere inefficienze e scelte scellerate. Loro nominano i primari e a loro volta vengono nominati dalla politica. E forse nessuno vuole dire al governatore Vincenzo De Luca che qualcosa non va.
La poltrona non può essere messa a rischio. Anche perché lo stesso Sceriffo, pochi giorni fa, non si è preso la responsabilità per le chiusure di tanti presidi sul territorio, né per una medicina di base che non funziona e non filtra. Ha preferito attaccare il governo. E lanciare un messaggio: “Sui giornali ci finisce solo il Cardarelli?”. Ubbidienti, i manager cercano di risolvere il problema. Non delle barelle, ma della libertà di stampa, del diritto di denuncia. Tanto a rimetterci sono sempre i cittadini, mica loro.
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