Napoli. Clan Mazzarella, i contrasti tra Barile e i cugini boss e le schermaglie sui social

NAPOLI – Quando sono stati presi mentre tentavano di darsi alla fuga all’estero, dopo aver fiutato il pericolo a poche ore dal blitz che aveva smantellato il clan e mandato dietro le sbarre parenti e sodali, il ras Salvatore Barile e i cugini capiclan Ciro e Michele Mazzarella sembravano formare un trinomio criminale perfetto. Eppure a leggere le carte della convalida del decreto di fermo emesso dalla Dda, firmate dal gip del Tribunale di Napoli Luca Rossetti, emerge una realtà completamente diversa. Il ras del rione Sant’Alfonso di Poggioreale era diventato inviso ai cugini. Pomo della discordia le ambizioni sfrenate di Barile, soprattutto secondo Michele Mazzarella, e la sua linea di gestione del clan definita “troppo diplomatica”. Gli investigatori hanno appurato lo scoppio di tensioni criminali e familiari a partire da ottobre di quest’anno. Figlio Luisa Mazzarella – sorella di Vincenzo e Gennaro Mazzarella, all’anagrafe di camorra ’o pazzo e ’o schizzo, padri di Michele e Ciro Mazzarella – Barile, alias Totoriello, da anni veniva considerato un tuttofare del clan. Diversi i summit organizzati con l’obiettivo di riportare il sereno nella cosca. Iniziative che partivano da Ciro Mazzarella, l’anziano dei tre, che con la sua mediazione intendeva far filtrare all’esterno dell’organizzazione un’immagine compatta del gruppo di vertice. Ne andava della solidità del sodalizio: mostrarsi deboli e vulnerabili sarebbe stato un assist per le cosche nemiche e un occhiolino a chi avrebbe potuto nutrire sogni di gloria. Intanto le donne del clan contribuivano a rendere il clima ancora più teso con la pratica, tanto in voga nella camorra 3.0, di pubblicare ‘frecciate’ sui social agli indirizzi degli altri capi. Tanti i difetti attribuiti a Barile, su tutti il fatto che fosse ritenuto spietato in fatto di soldi e quindi di guadagni personali. Ma su una cosa i Mazzarella sono sempre stati d’accordo: Barile non si sarebbe mai mosso da solo. Fedeltà allo stato puro, insomma, una caratteristica che faceva di Totoriello un uomo sul quale continuare a puntare anche per il futuro. Un clan dalle mille anime e una sola bandiera, i Mazzarella. La cosca, partita dal rione Luzzatti, si era impossessata di una vasta fetta del centro città, arrivando fino ai confini dei territori gestiti dai rivali del clan Contini, che insieme ai Mallardo di Giugliano e ai Licciardi della Masseria Cardone forma il cartello dell’Alleanza di Secondigliano. Ma come si spartivano i quartieri del centro i boss dei Mazzarella? Dall’inchiesta della Dda culminata nell’ultimo max blitz di lunedì 5 dicembre è emersa la spartizione delle zone. Da una lunga conversazione ambientale datata 25 aprile 2019, captata dagli investigatori, spuntano i dettagli della divisione del territorio. L’incontro vide protagonisti Massimo Ferraiuolo, Gaetano Gemei (arrestati nel blitz di inizio mese) e Salvatore Barile, fermato martedì il giorno successivo ai cugini. In particolare, dalle parole dei protagonisti emerse, in estrema sintesi, che il clan Mazzarella è un cartello camorristico articolato in vari sottogruppi attivi su diversi quartieri cittadini e della provincia di Napoli. Massimo Ferraiuolo veniva considerato il referente per la zona della Maddalena, Salvatore Barile per il Rione Sant’Alfonso di Poggioreale, il cosiddetto Connolo, Ciro Mazzarella per il quartiere Mercato e la zona soprannominata ‘Sopra le Mura’, Salvatore Fido, alias ’o Chiò, per il quartiere San Giovanni. Fondamentali, per le indagini culminate nella retata del 5 dicembre, sono state le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Giuliano: “Ferraiuolo Massimo, alias mortadella, è stato detenuto per lungo tempo per l’omicidio di Ginosa Giuseppe ed ha avuto un periodo di codetenzione con mio zio Luigi Giuliano presso il carcere di Opera; in occasione della loro codetenzione, Mortadella chiese a mio zio di poter gestire i parcheggi davanti al Trianon e mio zio acconsentì dicendo che avrebbe chiesto a chi stava fuori del Giuliano”. Secondo ’o russo, Michele Mazzarella, figlio di Antonietta Virenti e del defunto boss Vincenzo Mazzarella, aveva ambizioni da capoclan: “Prima che Michele Mazzarella uscisse dal carcere io avevo parlato con Barile Salvatore della sua scarcerazione – ha raccontato il pentito Giuliano – quest’ultimo mi aveva prospettato la possibilità che Michele volesse prendersi Forcella e io gli avevo risposto che in questo caso ci sarebbe stata la guerra. Così non è stato. Quando Michele è stato scarcerata ha ripreso le redini del clan, e ha voluto incontrarmi. Voglio precisare che non ha voluto vedere nessuno all’inizio tranne me. Ci siamo incontrati in un deposito al Rione Luzzatti e all’incontro abbiamo partecipato io, che nell’occasione ero con Alessio Vicorito, Barile Salvatore, Michele Mazzarella e il loro cugino Alberto (che al momento gestisce lo Maddalena al di sopra dei Ferraiuolo). Io ho avuto un fermo con questo Alberto dei Falchi, fuori al Vico delle Zite, al centro di Forcella”. Anche in passato il clan ha attraversato dei momenti di crisi: “Alessio mi ha confessato di essere stato l’autore materiale del tentato omicidio di Tubelli – ha proseguito Salvatore Giuliano – nipote di Maurizio Ferraiuolo, avvenuto tra il 2017 e il 2018. In effetti questo gesto è stato, più che altro, una sfregio fatto da Vicorito in quanto Tubelli era un appartenente al clan di Ferraiuolo Massimo, fratello di Maurizio, dal momento che Vicorito ha subito un vero e proprio trauma, quando era un bambino, da parte di Ferraiuolo Maurizio il quale, dopo l’arresto del padre Vicorito Luigi, avvenuto nel 1998, quando ci fu il primo processo al clan Giuliano, fu cacciato insieme ai fratelli, alla sorella e la madre, dell’appartamento dove all’epoca abitavano ubicato alla Maddalena e cioè dove. adesso abita Massimo Ferraiuolo, in quanto Maurizio Feraiuolo voleva impadronirsi e, di fatto, si impadronì della loro abitazione. Questo episodio Alessio Vicorito non lo ha mai digerito e quindi, quando si è presentata l’occasione ha colpito uno degli appartenenti al gruppo di Ferraiuolo. Preciso, in particolare, che ciò è avvenuto durante il periodo in cui il gruppo De Martino-Vicorito era appoggiato da Eduardo Saltalamacchia il quale aveva anche mire espansionistiche sulla Maddalena e cioè voleva inserirsi nelle attività illecite di quella zona ovvero nello spaccio, nella contraffazione nelle estorsioni alle bancherelle e ai depositi di merci, all’epoca e tuttora gestite de Ferraiuolo Massimo e dal fratello Gaetano”.

Le nuove basi del sodalizio in Spagna

Sentir parlare dialetto napoletano, quando si è in giro tra le stradine bianche di Valencia, non è un fatto così tanto improbabile, anzi. Di partenopei che hanno trasferito la propria vita in Francia ce ne sono tanti. Molti di loro trovano lavoro nelle decine di pizzerie dislocate al centro storico, dove la concentrazione di attività di ristorazione da ogni parte del mondo rende quasi difficile poter gustare la cucina iberica. Un paradosso nel quale si è inserita anche la camorra napoletana. Dalle indagini della Dda sul conto di Salvatore Barile e Ciro e Michele Mazzarella emergono nuovi indizi degli affari in terra spagnola del clan del rione Luzzatti. “Può darsi che me ne vado a Valencia”, si sente dire a Ciro Mazzarella nel corso di una conversazione intercettata dagli investigatori. Il suo interlocutore lo tranquillizza affermando che a Valencia ha degli amici pizzaioli, “persone fidate”, che gestiscono un locale con inequivocabili rimandi nel nome alla tradizione partenopea. “Valencia è la terza città della Spagna”, insiste il compagno di Ciro Mazzarella. Che ribatte: “Se chiami l’amico tuo mi fai prendere una casa”. Gli inquirenti del pool anticamorra sono convinti che dietro il viaggio in Spagna ci siano intenzioni criminali. Lo stesso Gennaro, padre di Ciro e fondatore della cosca, nel lontano 1998 fu stanato proprio nel Paese iberico. Ed è proprio dalla terra dei toreri che, negli anni, i Mazzarella hanno importato sostanze stupefacenti. Inoltre, altre intercettazioni ambientali inducono gli investigatori a pensare che, si legge nel provvedimento di convalida del decreto di fermo, “un gruppo di soggetti del clan Mazzarella, riconducibili all’articolazione guidata da Ciro, opera in Spagna”. Potrebbe trattarsi delle note paranze di rapinatori napoletani di orologi preziosi.


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