TORINO – Slang, jeans e film stranieri. Sono questi i ‘nemici’ della Corea del Nord secondo il suo leader Kim Jong-un. Per combatterli, Pyongyang ha introdotto una nuova legge radicale volta a eliminare qualsiasi tipo di influenza straniera, punendo severamente chiunque venga sorpreso con film, vestiti o persino a esprimersi con un linguaggio straniero. Tutti elementi bollati dal leader come “pensiero reazionario”. Per i trasgressori le pene sono severe: chiunque sia trovato in possesso di grandi quantità di media dalla Corea del Sud, dagli Stati Uniti o dal Giappone ora rischia la pena di morte. Mentre chi viene sorpreso a guardare contenuti di questo genere, rischia 15 anni di campo di prigionia.
La lettera di Kim
In una lettera sui media statali Kim Jong-un ha chiesto alla Lega della gioventù del Paese di reprimere “comportamenti sgradevoli, individualisti e antisocialisti” tra i giovani, dichiarando guerra al linguaggio straniero, alle acconciature e ai vestiti, definiti dal 37enne “veleni pericolosi”. Secondo gli analisti, la mossa nasconde quello che è il vero obiettivo. Tentare di impedire che informazioni provenienti dall’esterno raggiungano la popolazione, mentre la vita nel Paese diventa sempre più difficile.
Il caso
Stando a quanto pubblicato da Daily NK, sito di notizie con sede a Seul ma con fonti in Corea del Nord, tre adolescenti sono stati spediti in un campo di rieducazione per essersi tagliati i capelli come gli idoli del K-pop sudcoreano e avere risvoltato i pantaloni sopra le caviglie.
La pubblicazione online è stata la prima a entrare in possesso di una copia della nuova norma. “Stabilisce che se viene scoperto un lavoratore, il capo dello stabilimento può essere punito e se un bambino risulta problematico, anche i genitori possono essere puniti. Il sistema di monitoraggio reciproco incoraggiato dal regime nordcoreano si riflette in modo aggressivo in questa legge”, ha spiegato il direttore Lee Sang Yong alla Bbc. Lo scopo, ha aggiunto, è “infrangere” i sogni o il fascino che Seul possa esercitare sulla generazione più giovane. “In altre parole, il regime è arrivato alla conclusione – ha evidenziato – che si potrebbe formare un senso di resistenza se venissero introdotte culture da altri paesi”.
(LaPresse)