Omicidio Apuzzo-Natale a Casal di Principe, arrestato il killer Schiavone

La tesi degli inquirenti: il gotha del clan dei Casalesi decretò la morte dei due grazzanisani perché avevano incendiato i fienili di alcune aziende bufaline senza la sua autorizzazione

CASAL DI PRINCIPE – Era il 10 dicembre 2003. L’Opel Corsa con a bordo Domenico Apuzzo e Salvatore Natale stava percorrendo via Sant’Andrea, a Brezza, quando incrociò il commando del clan del Casalesi. I killer fecero fuoco con un fucile calibro 12 caricato a pallettoni e con un kalashnikov calibro 7,62. Apuzzo e Natale, grazzanisani, morirono sotto la pioggia di proiettili. La loro vettura continuò a camminare per alcuni metri fino cadere nel canale che costeggia la strada.

A diciannove anni di distanza di quel raid di morte, la Dda di Napoli, grazie alla perseveranza egli investigatori, è riuscita a mettere nero su bianco i nomi dei suoi presunti protagonisti chiedendone l’arresto. E su ordine del gip Maria Laura Ciollaro del Tribunale di Napoli è stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare in prigione per Vincenzo Schiavone ‘o petillo, assistito dall’avvocato Carlo De Stavola. Il provvedimento gli è stato notificato ieri mattina dai carabinieri della stazione di Grazzanise, che hanno condotto l’indagine, nella prigione di Cuneo, dove è recluso per altre vicende giudiziarie sempre legate al clan dei Casalesi.

Sono finiti sotto inchiesta, ma a piede libero, per il duplice delitto Apuzzo-Natale anche il boss Francesco Schiavone Cicciriello, 69enne di Casal di Principe, Enrico Martinelli, 57enne, e Pasquale Spierto, 54enne, entrambi di San Cipriano d’Aversa. I tre, anche loro come ‘o petillo sono già in cella in relazione ad altri reati di mafia.
Fu un agguato terrificante. I Casalesi mostrarono tutta la loro barbarie. Apuzzo venne colpito da 9 colpi d’arma da fuoco, Natale da 5.
Se la mafia locale decretò la morte dei due, hanno ricostruito gli inquirenti della Procura di Napoli, è perché erano stati ritenuti responsabili di alcuni incendi di natura dolosa divampati all’interno di fienili di aziende bufaline della zona. Azioni che senza l’autorizzazione del clan andavano punite.

E assassinarli per le logiche del clan significava “riaffermare la supremazia dell’organizzazione camorristica per imporre sul territorio il predominio della fazione Schiavone, attraverso l’assoggettamento incondizionato dell’intera collettività”. Ai quattro indagati viene contestata anche la detenzione illegale di armi.
In prima battuta ad occuparsi dell’inchiesta fu la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, poi il caso passò alla Distrettuale di Napoli. Ma gli investigatori, scontrandosi con il muro di omertà dell’epoca (era il periodo in cui il clan terrorizzava il territorio facendo morti su morti), non riuscirono a raccogliere prove sufficienti per tracciare il profilo dei killer. Tre anni fa il caso è stato riaperto e affidato ai militari dell’Arma di Grazzanise guidati dal comandante Luigi De Santis.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome