ROMA – Si aprirà domani il processo d’appello ai due americani condannati in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Mario Cerciello Rega.
Il vicebrigadiere venne assassinato, nel luglio del 2019, con 11 coltellate. A colpirlo Finnegan Lee Elder, all’epoca in vacanza a Roma con l’amico, anche lui condannato, Gabriel Christian Natale Hjorth.
Proprio oggi, sui giornali, sono state pubblicate alcune frasi shock sui due statunitensi estrapolate da una chat di cui farebbero parte alcuni militari. Le parole, scritte poco dopo l’arresto dei due, sono gravi: “squagliateli nell’acido”, “ammazzateli di botte”, “fategli fare la fine di Cucchi”, finiscono sulla carta stampata, da atti depositati in un altro processo, proprio alla vigilia dell’appello, e fanno aprire all’Arma un’indagine interna.
L’omicidio di Mario Cerciello Rega risale alla notte del 26 luglio 2019: dopo un tentato acquisto di droga, non andato a buon fine, i due americani, all’epoca diciannovenni, rubarono lo zaino di Sergio Brugiatelli, che aveva indicato loro il pusher. Brugiatelli (teste chiave della vicenda, deceduto qualche mese fa per un male incurabile) chiese aiuto al 112, e Cerciello con un collega venne inviato in soccorso per fermare la tentata estorsione messa in atto dai due giovani, che pretendevano 100 euro e della cocaina, per restituire il maltolto. Quando i militari cercarono di bloccarli, Elder reagì colpendo a morte Cerciello, prima di darsi alla fuga con l’amico.
La mattina dopo, i due vennero fermati in un albergo del quartiere Prati, poco distante dal luogo dell’omicidio. Erano pronti a lasciare l’Italia e avevano nascosto in un controsoffitto il coltello, con lama da 18 centimetri, usato nell’agguato, che Elder aveva portato con sé dagli Stati Uniti.
“L’appello è ora in mano alla giustizia italiana”, hanno scritto qualche giorno fa in una nota Ethan e Leah Elder, genitori di Finnegan Lee, che si sono detti “fiduciosi che verranno portate alla luce le anomalie e le molte informazioni sbagliate emerse nel processo di primo grado”.
Intanto va avanti il procedimento contro Fabio Manganaro, il carabiniere imputato per aver bendato dopo l’arresto Hjorth, la cui foto, anch’essa finita in chat, fece il giro dei media italiani e americani. Tra gli atti depositati nel procedimento, ci sono i feroci commenti, pubblicati in chat due anni e mezzo fa, e finiti solo oggi sui giornali, che l’Arma bolla come “offensivi ed esecrabili”, assicurando in una nota che, “non appena gli atti con i nominativi dei militari coinvolti saranno resi disponibili, avvierà con immediatezza i conseguenti procedimenti disciplinari per l’adozione di provvedimenti di assoluto rigore”.
Di Alessandra Lemme