Omicidio De Magistris, incastrato Di Lauro

Napoli, Scampia. Il boss Marco ritenuto il mandante del delitto, il fratello Nunzio e Mennetta gli esecutori

NAPOLI – Un cold case riaperto e datato 2004, quando a Secondigliano infuriava la guerra delle Vele. Raggiunti da ordinanza cautelare eseguita dai carabinieri Marco Di Lauro, il fratello Nunzio e Antonio Mennetta, ritenuti rispettivamente mandante ed esecutori del delitto di Salvatore De Magistris, che fu percosso e letteralmente schiacciato con una moto, una Transalp. Le fasi di quella aggressione sono da macelleria messicana. Era il 30 ottobre 2004, quando fu ucciso il patrigno di Biagio Esposito, cognato di Luigi Secondo, soprannominato ’O Zeccato.

Dopo il delitto ci furono già delle conversazioni intercettate che parlavano dell’aggressione “al padre di Biagino”. Era questo il soprannome di Esposito che, dopo essere nato e cresciuto a Cupa dell’Arco, aveva deciso di saltare il fosso schierandosi con gli scissionisti. Fu più volte controllato in compagnia di Raffaele Amato e fu inserito dal primo pentito della faida, Pietro Esposito, tra i soggetti appartenenti al clan ribelle. Erano le 15 circa del 30 ottobre del 2004 quando De Magistris fu ricoverato all’Ospedale San Giovanni Bosco. Fu curato, ma le sue lesioni erano talmente gravi che morì il 28 novembre successivo.

Di quel delitto hanno parlato anche collaboratori di giustizia più recenti come Salvatore Tamburrino e Pasquale Riccio. Quest’ultimo spiegò agli inquirenti: “Quando avvenne il fatto, Biagio Esposito se ne era già andato nella zona di Ravenna o Emilia Romagna, ed i Di Lauro iniziarono, poiché era appena avvenuto il duplice omicidio Montanino-Salierno, a fare azioni di ritorsione contro soggetti di cui era noto il passaggio con gli scissionisti. Mi ricordo in particolare di Davide Francescone, a cui incendiarono la Yaris nel Monterosa, ed una ragazza – che è parente degli Amato-Pagano – a cui gettarono dell’acido: specifico che a Francesco l’auto venne incendiata prima dell’omicidio Montanino-Salierno e si disse che fosse stato Nunzio Di Lauro.

De Magistris – continuò – patrigno di Esposito, era rimasto ad abitare nel Rione dei Fiori. Quanto gli accadde fu una ritorsione dei Di Lauro. Quando Vincenzo Notturno e Cesare Pagano spiegarono le azioni schifose dei Di Lauro, raccontarono che Nunzio Di Lauro e Antonio Mennetta, l’avevano picchiato prima e poi gli erano passati con la motocicletta sul corpo. De Magistris morì in seguito alle ferite in ospedale”. La guerra continuò. “Come vendetta per questo episodio – dice ancora Riccio – venne ucciso il padre di Ferdinando Emolo, il carciofaro”. Erano le 18del 20 novembre 2004, in piazza Ottocalli, quando furono esplosi contro Gennaro Emolo, diversi colpi d’arma da fuoco. Fu soccorso e trasportato all’ospedale San Giovanni Bosco, ma all’arrivo era già morto. Nel corso del sopralluogo della Scientifica furono rinvenuti 2 bossoli calibro 7,65. Gennaro Emolo era un volt noto, con precedenti per stupefacenti e contrabbando.

Negli ultimi tempi si era dedicato al commercio ambulante di carciofi proprio nella piazza in cui fu teso l’agguato. L’iniziale attività investigativa consentì di acquisire elementi tali da ricondurre il delitto nell’ambito della faida. Biagio Esposito, tempo dopo, decise di passare dalla parte dello Stato e raccontò a sua volta della vicenda in cui fu coinvolto il suo patrigno.
“Mentre mi trovavo a Ravenna già da qualche anno, ebbi una telefonata da mia mamma e mia sorella – spiegò – mi dissero che avevano picchiato malamente suo padre e che con la moto gli erano passati sul corpo. Questo accadde dopo una settimana dall’omicidio dì Fulvio Montanino e suo zio Claudio Salierno. Dopo io feci tante telefonate per sapere come stesse De Magistris, perché era in coma, ma mia sorella al telefono non mi diceva esattamente come stavano le cose e chi fosse stato a pestare il mio padrino”.

Quella guerra iniziò perché il giovane Cosimo Di Lauro cambiò i giochi: pretese che tutti i sottocapi diventassero dipendenti stipendiati del clan. E di fronte alle rimostranze di alcuni, cominciò a sostituire i capizona quarantenni o cinquantenni con nuovi capi, ventenni o trentenni al massimo: un ricambio generazionale forse mai visto nella storia criminale partenopea. Ma il cursus edipico prese una diversa traiettoria. I figli sostituirono i padri e i padri si ribellarono. La strategia di Cosimino fu spiegata anche da Pietro Esposito.“Prevede un ringiovanimento del clan, i cui esponenti devono avere al massimo trent’anni”. Il punto di non ritorno si raggiunse il 28 ottobre del 2004, con il delitto di Fulvio Montanino. Era il braccio destro di Cosimo e quel delitto toccò il reggente dei Di Lauro nel profondo.

In un’intercettazione ambientale due uomini di punta del clan parlarono proprio di Cosimo spiegandone il progetto. “Cosimo – diceva uno – vuole sferrare la controffensiva fino al punto di scatenare la guerra… Dice che li manda a prendere uno ad uno, anche con le bombe”. I due si incontrarono ancora qualche giorno dopo. “Cosimo è un ottimo capo. Noi dobbiamo organizzare gruppi di fuoco composti da cinque o sei persone che si nascondono nelle case e aspettano il segnale per colpire i nemici. Gli abbiamo dato troppo tempo per riorganizzarsi. Se non colpiamo per primi ci ammazzano”. La logica della strada. ‘Chi colpisce per primo colpisce due volte’.

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