Omicidio di Angela Gentile, Caterino: fu uccisa da Mimì Belforte, agì da solo

A raccontarlo all’ex Casalese il fratello del boss dei Mazzacane nel carcere di Torino

MARCIANISE – Non solo Michele Froncillo. Dell’omicidio di Angela Gentile, la donna con cui Mimì ‘e Mazzacane, al secolo Domenico Belforte, ha avuto una relazione e una figlia (prima di legarsi a Maria Buttone, attuale moglie), hanno parlato alla Dda di Napoli anche Luigi Autiero e Paolo Di Grazia. Il primo venne a conoscenza di notizie sull’assassinio da Giuseppe Sparaco, alias Capocchione, e il secondo, invece, mentre si trovava in carcere a S. Maria Capua Vetere: a metterlo al corrente del delitto fu Salvatore Giuliano, ex esponente della Nco di Raffaele Cutolo, poi passato con i Belforte. Entrambi i pentiti, in sintesi, hanno riferito al pubblico ministero Luigi Landolfi di aver saputo che fu Domenico Belforte ad uccidere l’ex amante per volere della moglie e che dopo l’assassinio la figlia venne cresciuta dalla famiglia marcianisana.
Ma l’elemento che ha contribuito con forza a far condannare, in primo e in secondo grado, Mimi ‘e Mazzacane e la consorte Buttone, è rappresentato da Salvatore Caterino, ex esponente del clan dei Casalesi.
Come è possibile che un ex esponente del clan dei Casalesi abbia informazioni su un delitto che interessa la sfera più intima dei vertici della cosca marcianisana? Caterino era arrivato nel carcere di Torino nel 2016. E lì, tra le varie mansioni che gli furono assegnate, c’era quella di dover pulire alcune aree del penitenziario, tra cui la cella di Salvatore Belforte (che, al tempo, aveva intrapreso un percorso di collaborazione con la giustizia), fratello di Mimì, impossibilitato a provvedervi autonomamente per dei problemi fisici. Giorno dopo giorno, tra i due nacque un rapporto di fiducia, anche per la relazione che il marcianisano aveva avuto, quando era libero, con Salvatore Cantiello, alias Carusiello, nipote di Caterino.
Nel corso delle loro chiacchierate, il boss dei Mazzacane riferì all’ex Casalese dell’indagine avviata dal pubblico ministero Luigi Landolfi sull’assassinio di Angela Gentile. Venne a conoscenza di questa circostanza nel corso di un ‘permesso di necessità’, grazie al quale incontrò alcuni suoi familiari.
Caterino ha raccontato al pubblico ministero Luigi Landolfi di aver appreso proprio da Salvatore Belforte che ad uccidere la Gentile fu il fratello Mimì su richiesta della moglie, Maria Buttone. Il boss riferì al pentito dei Casalesi che aveva dato anche l’incarico al figlio Vincenzo di convincere la figlia della Gentile “a prendere le distanze da Landolfi”. Ma non ci riuscì e per l’insuccesso il marcianisano aggredì con una stampella Vincenzo. Alla Dda Caterino ha raccontato che, durante i loro confronti in cella, aveva provato a convincere Salvatore Belforte a dire tutta la verità alla Procura, ma lui gli avrebbe risposto di “non avere intenzione di collaborare totalmente, e che soprattutto su quella vicenda non vuole assolutamente dire la verità”.
L’ex Casalese ha riferito di aver appreso dal marcianisano che “Domenico Belforte, per la ‘delicatezza’ dell’omicidio, aveva agito da solo, senza coinvolgere altre persone del suo gruppo”, ma visto che con il fratello “erano una cosa sola”, lo informò di aver assassinato l’ex amante. “La donna – ha aggiunto Caterino – fu ammazzata da Domenico per vendicare la moglie, su espressa richiesta della stessa, e la bambina fu cresciuta direttamente dalla famiglia Belforte”.
Il marcianisano, mantenendo fede a quanto avrebbe detto a Caterino, nel corso degli interrogatori avuti con il pubblico ministro Landolfi, ha sempre negato di conoscere la storia dell’omicidio Gentile. Ma quando il 13 luglio 2017, proprio Landolfi gli lesse quanto aveva dichiarato Caterino, annunciando di “riservarsi ogni decisione in merito alla sua collaborazione”, il boss andò in escandescenze: minacciò prima l’ispettore Lippiello, al tempo in servizio presso la Squadra mobile di Caserta, e poi tentò di aggredire il pubblico ministero. “La lettura delle dichiarazioni rese da Salvatore Caterino fu per lui devastante”: a scriverlo è stata la Corte d’appello di Napoli nelle motivazioni (depositate a fine giugno) con cui ha confermato la condanna all’ergastolo per Maria Buttone e a 30 anni per Domenico Belforte: la coppia è stata ritenuta responsabile dell’assassinio della Gentile. Alla Buttone viene contestato pure il reato di associazione mafiosa. Nello stesso processo è coinvolta (ed è stata pure condannata in Appello), con l’accusa di estorsione, Alessandra Golina, nuora di Belforte. Nel collegio difensivo sono impegnati gli avvocati Massimo Trigari e Nicola Musone. Il non aver raccontato la verità sul delitto dell’amante del fratello è costato a Salvatore Belforte la revoca del piano di protezione e lo stop alla sua collaborazione con la giustizia.
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