MILANO (LaPresse) – Il ‘no’ al fallimento del Palermo calcio sarebbe stato pilotato. Ne sono convinti i magistrati del tribunale di Caltanissetta che hanno sospeso il giudice Giuseppe Sidoti, accusato di aver salvato la società con una sentenza ad hoc, e l’ex presidente rosanero Giovanni Giammarva, indagato per concorso in corruzione.
L’esito delle ultime indagini
Al termine dell’indagine sono stati poi perquisiti il palazzo di giustizia di Palermo, gli uffici del club siciliano e due studi legali. Il campanello d’allarme sull’istanza di fallimento respinta il 29 marzo è scattato grazie alle intercettazioni. Qualche giorno fa, Sidoti, Giammarva e l’avvocato del Palermo, Francesco Paolo di Trapani, avevano già ricevuto un avviso di proroga delle indagini.
L’ufficio legale della U.S. Città di Palermo fa sapere poi di aver preso atto “dell’ennesima iniziativa d’indagine”. In un “delicato momento di cessione della proprietà”. E che “anche in tale occasione abbiamo collaborato con gli organi inquirenti, per far luce sulla vicenda. Pur dissentendo dai dubbi investigativi sollevati dalla Procura”.
Palermo calcio, la difesa
Per la difesa del Palermo Calcio “la società ha dimostrato la sua solidità anche subito dopo tale provvedimento favorevole”. Gli avvocati auspicano “che tutto ciò non incida in alcun modo sulla cessione della proprietà. E sulla capacità della squadra di svolgere serenamente il proprio impegno per il raggiungimento della promozione in serie A”.
I capi d’accusa contro Sidoti
Concorso in corruzione, abuso d’ufficio e rivelazione di notizie riservate. Sono le accuse mosse dal gip nei confronti di Sidoti, tra i giudici più stimati del tribunale di Palermo. Ora al centro della vicenda giudiziaria su un presunto scambio di favori. Stando alla ricostruzione della procura, Sidoti “pur essendo legato da un pregresso rapporto di conoscenza e di estrema confidenza con Giammarva, avrebbe omesso di astenersi dall’incarico di giudice relatore nell’ambito della procedura prefallimentare”.
Il Palermo calcio, a rischio fallimento, sarebbe stato sottratto alla bancarotta. Anche in cambio di un incarico preservato a un’amica del giudice, l’avvocato Vincenza Palazzolo. Al Sidoti viene inoltre contestata anche la nomina come proprio consulente di Daniele Santoro, “legato da rapporti professionali pluriennali con Giammarva”.
Le conversazioni tra Zamparini e Di Trapani
L’indagine dei pm nisseni, diretti da Amedeo Bertone, nasce a dicembre scorso da una telefonata tra il patron del Palermo, Maurizio Zamparini, e Di Trapani. In cui si discuteva di un fitto colloquio con Sidoti. Nel corso della conversazione il giudice avrebbe anticipato a Di Trapani che il procedimento si sarebbe concluso con un esito positivo per il Palermo. Per la procura infatti “le criticità via via riscontrate dai consulenti tecnici sarebbero state puntualmente riferite da Sidoti a Di Trapani. Al fine di consentire alla società calcistica di porre in essere accorgimenti strumentali a scongiurare la dichiarazione di fallimento”.
Fallimento pilotato
E ancora: da una conversazione registrata tra Sidoti e Santoro, si legge in una nota della procura, è “apparsa la volontà del giudice di orientare l’esito del procedimento in senso favorevole alla società”. Sidoti avrebbe poi impartito al consulente una serie di direttive finalizzate a non far emergere nell’elaborato peritale criticità. Delle quali entrambi erano a quindi conoscenza. Ecco perché, secondo la guardia di finanza guidata dal colonnello Cosmo Virgilio, il giudice avrebbe predisposto un decreto di rigetto dell’istanza di fallimento “contrario ai doveri di ufficio”.
di Ester Castano