ROMA – Immagini più potenti di qualsiasi messaggio. Il Papa, in piedi sul sagrato di una piazza San Pietro deserta, avvolto dal crepuscolo del mondo. Pioggia battente, il suono delle sirene delle ambulanze a distanza, le parole del Vangelo, poi quelle di Francesco che prega davanti al crocifisso di San Marcello che secondo la tradizione fermò la peste nel XVI secolo.
“E’ scesa la sera”
“Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti”, dice il Papa. Una fotografia dell’anima di un mondo travolto dall’epidemia, chiuso in casa, riscopertosi fragile più che vulnerabile.
“Reimpostare la rotta”
Il Pontefice si rivolge a Dio, riferimento nella bufera. “In questo nostro mondo, che tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”. La folle corsa del mondo si è improvvisamente fermata. “Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. E’ il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di te, Signore, e verso gli altri”. Parole, queste, che non dovranno essere cancellate dalla tempesta o dalla pioggia. Parole scolpite nel cuore della Storia.
“Non lasciarci in balia della tempesta”
Francesco chiede a Dio di portare l’umanità fuori dall’incubo. “Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: ‘Voi non abbiate paura’. E noi, insieme a Pietro, ‘gettiamo in te ogni preoccupazione, perché tu hai cura di noi'”. La pioggia continua a battere, la piazza è deserta. Il Papa concede l’indulgenza plenaria e pronuncia la benedizione Urbi et Orbi. Come nelle solennità. Come nei momenti più neri.
La fine di ogni egoismo
L’aria tesa, la voce increspata, l’andatura sofferente. Papa Francesco si mostra in tutta la sua umanità. Uno come tutti gli altri. Ma, cercando Dio nella tempesta, indica una strada, quella dell’abbandono del senso di onnipotenza e della riscoperta delle vere priorità dell’umanità intera, che può, una volta finito l’incubo, può cambiare il destino di una società malata già prima della funesta avanzata del coronavirus. Speranza, al di là della fede. Al di là di ogni divisione o muro. Al di là di ogni egoismo. Perché la piazza torni piena. Perché la tempesta finisca davvero.