Patto con gli Zagaria, ricorso della Dda contro l’assoluzione dei fratelli Diana

Il verdetto del Tribunale di S. Maria C.V. sarà valutato dalla Corte d’appello di Napoli. Nel gennaio 2019 i domiciliari per gli imprenditori e poche settimane dopo l’annullamento della misura cautelare e il dissequestro delle loro ditte

Nicola e Antonio Diana

CASAPESENNA – Era il gennaio 2019 quando il gip Maria Luisa Miranda del Tribunale di Napoli dispose gli arresti domiciliari per i fratelli Antonio e Nicola Diana e il sequestro di una parte delle loro imprese. A innescare questi provvedimenti fu l’inchiesta della Squadra mobile di Caserta che portò la Dda a contestare ai due fratelli e allo zio Armando (poi deceduto) l’accusa di concorso esterno al clan dei Casalesi. Poco dopo, i domiciliari vennero revocati e furono tolti dal Riesame anche i sigilli alle loro imprese.
Lo scorso aprile, a conclusione di un lungo dibattimento, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha assolto i fratelli Diana. Quel verdetto, però, non ha trovato d’accordo la Direzione distrettuale antimafia di Napoli che, con il pm Fabrizio Vanorio, ha presentato ricorso in Appello (processo non ancora calendarizzato).
Il magistrato della Procura partenopea sostiene che vi siano gli estremi per portare il caso dei Diana dinanzi ai giudici di secondo grado.
Secondo la Dda, i Diana avevano stipulato un accordo prima con Vincenzo Zagaria, uomo di vertice dell’organizzazione dei Casalesi agli inizi degli anni Novanta, e poi con Michele Zagaria, leader della cosca di Casapesenna (che è andato ad intestarsi, criminalmente, le zone precedentemente dirette dal sanciprianese Vincenzo). Questo patto avrebbe garantito agli imprenditori, ipotizza l’accusa, protezione dalle eventuali estorsioni programmate nei loro confronti da altre compagini mafiose, come gli Autiero, i Di Grazia e i Russo-Schiavone. Come corrispettivo di questa protezione, ha ricostruito la Dda, i Diana avrebbero effettuato il cambio assegni e dato denaro al gruppo orbitante intorno agli Zagaria. L’Antimafia ha sviluppato questa tesi basandosi sulle dichiarazioni raccolte in fase di indagini dai collaboratori di giustizia Massimiliano Caterino, Orlando Lucariello, Attilio Pellegrino, Antonio Iovine, Giuseppe Misso e Riccardo Di Grazia, a cui si sono aggiunti poi Nicola Schiavone, primogenito del capoclan Francesco Schiavone Sandokan, e Francesco Zagaria, alias Ciccio ‘e Brezza. Tuttavia, gli avvocati Carlo De Stavola, Claudio Botti, Giuseppe Stellato e Andrea Saccone sono riusciti a far emergere contraddizioni nel racconto dei pentiti e a produrre prove che hanno messo in dubbio le loro informazioni, convincendo così il collegio presieduto da Luciana Crisci ad assolvere i Diana dalla pesante accusa.
Conclusosi l’iter di primo grado, i fratelli avevano accolto il verdetto di assoluzione dicendo che avevano finalmente assistito alla “fine di un calvario”. Ma si è appreso, ora, che la partita giudiziaria per loro non è finita: la Dda vuole che le sue accuse siano riesaminate dalla Corte d’appello.
Nicola e Antonio, gemelli oggi di 57 anni, imprenditori di successo nel settore del riciclo della plastica, sono i figli di Mario Diana (fratello di Armando), vittima innocente di camorra: fu ucciso nella piazza di Casapesenna il 26 giugno 1985. Stando a quanto ricostruito in sede giudiziaria, Mario Diana venne ammazzato per aver difeso la sua attività di autotrasportatore, che da quel momento fu portata avanti dai figli. Al processo sull’assassinio, Nicola, Antonio e gli altri componenti della loro famiglia si costituirono parte civile.

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