Congresso e Regionali. Enrico Letta vuole evitare al Pd di rimanere imprigionato in dibattiti senza fine su regole del gioco e alleanze, ma il passaggio è, ancora una volta, delicato. In tanti continuano a chiedere al segretario di velocizzare il percorso che porterà alle primarie per eleggere il suo successore.
L’apertura del leader arriva attraverso un lungo intervento su Repubblica: “Più la fase della chiamata e della discussione saranno efficaci, più si potranno anche contrarre i tempi della fase del confronto tra i candidati, in modo da poter anticipare la data attualmente fissata dalla Direzione nazionale del Pd per il 12 marzo”, è la frase che viene subito cerchiata in rosso e che rimbalza nelle chat dei dem, sia tra chi spinge per lo sprint sia tra chi, soprattutto nella sinistra del partito, sin dall’inizio ha chiesto più tempo.
L’ipotesi sarebbe quella di accelerare nelle ultime due fasi che riguardano il confronto tra le mozioni congressuali e le primarie vere e proprie, a patto di arrivarci forte di una “grande partecipazione” e senza toccare le prime due (quella della ‘chiamata’ e quella dello ‘scioglimento dei nodi’). L’ala riformista apprezza e anche Stefano Bonaccini, che scioglierà la riserva a giorni su una sua possibile candidatura, esulta: “Anche a livello di dirigenza nazionale stanno dando ragione a chi, come me, chiedeva di accorciare i tempi di convocazione del Congresso”, commenta. E se per Peppe Provenzano e Andrea Orlando la data del 12 marzo resta “un buon punto di caduta”, la decisione di un eventuale anticipo sui tempi potrebbe essere messa ai voti nel corso di una nuova direzione.
Letta, intanto, riunisce la segreteria e inizia a mettere a terra il percorso costituente. “È arrivato il momento di reagire e costruire insieme il nostro futuro. Il bivio che abbiamo dinanzi è tra camminare col solo vecchio bagaglio e gli stessi riti o accettare una sfida che esige risposte nuove e ambiziose”, scrive in una lettera-appello indirizzata alle democratiche e ai democratici.
Tutti, sottolinea poi, potranno partecipare al congresso “senza nessun obbligo di iscriversi al Pd fino al momento del voto – quello sì riservato agli iscritti – sulle piattaforme politico-programmatiche e sulle candidature alla Segreteria nazionale”. Poi, al ballottaggio, come sempre, le primarie saranno aperte.“Non vi chiediamo di ratificare decisioni prese dai dirigenti, ma di essere i protagonisti di un processo di rinnovamento del Pd e del centrosinistra nel nostro Paese – è l’invito del leader – La nostra forza è la comunità. Ripartiamo da qui, rinnoviamola, allarghiamola, rendiamola davvero protagonista”.
Per i dem resta poi il nodo Regionali. “È un gran casino”, ammette al termine della riunione della segreteria un big dem. L’opzione primarie, a questo punto, è sul tavolo, “ma – è la sottolineatura – le primarie si fanno solo se servono ad allargare e unire, perché se al contrario chiudono e dividono non ha senso”. Nel Lazio i gazebo potrebbero allora essere una chance: in campo ci sono Alessio D’Amato (sostenuto gia da Azione e Iv e ritenuto l’opzione più forte anche da Letta), il vicepresidente del Lazio uscente Daniele Leodori e Marta Bonafoni, capogruppo della lista Zingaretti in Consiglio Regionale.
Giovedì Zingaretti dovrebbe dimettersi dopo aver approvato il collegato al bilancio e il suo addio sarà ‘lo start’ della campagna elettorale, con il voto che – stando ai calcoli fatti al Nazareno – potrebbe tenersi tra il 12 e il 19 febbraio. Diversa la partita in Lombardia. Netto il no dei dem alla possibilità di sostenere Letizia Moratti, lanciata da Azione e Iv: “Non c’è alcuna possibilità che il Pd, che è un partito di centrosinistra, insegua questa strategia, chiudiamola qui: non ci possono essere equivoci e ambiguità su questo”, taglia corto il vicesegretario Peppe Provenzano.
La candidatura dell’ex assessora alla Sanità della giunta lombarda, però, mette pesantemente in bilico l’opzione Cottarelli. Se, infatti, anche in questo caso si rendessero necessarie le primarie, l’ex mister spending review, secondo i più, farebbe un passo indietro. E se l’asso nella manica resta Beppe Sala (“se fosse disponibile saremmo tutti contenti e Calenda dovrebbe spiegare perché preferisce Moratti a lui) nel partito lombardo si sonda anche la disponibilità di alcuni sindaci, dal primo cittadino di Brescia Emilio Del Bono a quello di Mantova Mattia Palazzi.
Il rischio – il gruppo dirigente ne è consapevole – è che il partito potrebbe finire schiacciato tra M5S da un lato e Terzo polo dall’altro. “Qualcosa è cambiato, prima facevamo da magnete, adesso tutti ci attaccano per prendere i nostri voti”, è il ragionamento. La strategia, in ogni caso, “verrà definita entro questa settimana”, assicura chi segue il dossier. “Abbiamo dato ancora 48 ore al M5S, ma se ‘vogliono portarci a spasso’ non è aria. Dobbiamo costruire il nuovo Pd e fare opposizione alla destra, senza di noi non si può fare”.(LaPresse)