Il delinquente o presunto tale che mette piede in prigione dovrebbe uscirne migliorato. E non pestato, umiliato e ricaricato di rabbia. Il sistema carcerario di una nazione è un indicatore fondamentale del suo grado di civiltà. E l’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere ha mostrato alcuni tratti di quello campano non troppo incoraggianti. Chiariamolo subito, nulla ancora di definito: per tutti gli indagati vale il sacrosanto principio di innocenza. Le accuse contestate adesso dovranno essere dimostrate, nei prossimi mesi, nel corso di eventuali processi. Ma le immagini, al di là della verità giudiziaria, sono agghiaccianti. E raccontano una storia tremenda: la perquisizione del 6 aprile 2020, effettuata da circa 293 agenti nel reparto Nilo del carcere ‘Francesco Uccella’, è degenerata, dicono gli inquirenti, in torture, maltrattamenti, pestaggi ingiustificabili. Il giudice Sergio Enea, che ha disposto la custodia cautelare in carcere per 8 poliziotti della penitenziaria, e per altri 18 i domiciliari, ritenendoli protagonisti di quei raid, ha usato due parole sconvolgenti per descrivere ciò che accadde quel giorno: “Un’orribile mattanza”. Una pagina triste del mondo delle carceri che richiama un’altra storia tremenda, quella di Stefano Cucchi. E nel suo caso le botte che gli inflissero le forze dell’ordine non lo umiliarono e ferirono soltanto. Gli causarono la morte. Se luce è stata fatta sulla scomparsa di Stefano è grazie alla tenacia di Ilaria, la sorella.
Anche se la tragedia che ha stravolto la sua famiglia ebbe inizio in una caserma dei carabinieri e non in un penitenziario (dove invece si concluse), i fatti di S. Maria Capua Vetere hanno riportato alla mente in tanti proprio il pestaggio subito da Stefano. Ilaria, quando ha letto la notizia degli arresti, quando ha letto di quelle perquisizioni sfociate, secondo gli inquirenti, in barbarie, cosa ha pensato?
Che episodi di questo genere si sono verificati e si verificano troppo spesso, quasi sempre nell’indifferenza generale di una società che è abituata a guardare alle carceri come una vera e propria discarica sociale.
Una parte politica e i sindacati hanno criticato con toni aspri l’inchiesta condotta dalla Procura di S. Maria C.V. e la stampa che ha deciso di affrontarla senza filtri.
In questo clima si alimenta il senso di supremazia e di impunità, basti pensare a Rachid Assarag, il detenuto che per anni ha registrato i suoi aguzzini ottenendo principalmente procedimenti a suo carico.
E’ evidente che il sistema non funziona. Sicuramente non bisogna generalizzare, ma ci sono molte falle. La storia di Stefano lo dice. E quella che sta scrivendo la Procura di S. Maria C.V. purtroppo rischia renderle indelebili.
In gioco c’è la credibilità delle Istituzioni. Ma a Santa Maria Capua Vetere, come già avvenuto a Roma con i responsabili della morte di mio fratello Stefano, la differenza la stanno facendo i magistrati e chi lavora al loro fianco. Senza far sconti a nessuno. Per il rispetto dei diritti di tutti ed anche per restituire a noi cittadini la fiducia in una giustizia che possa davvero essere giusta e soprattutto uguale per tutti.