Pizzo, condannato il boss La Torre

La difesa chiedeva l’annullamento del verdetto: il reato non era indicato negli atti per l’estradizione

MONDRAGONE – Condanna in Cassazione per Augusto La Torre: il 59enne, boss della cosca dei Chiuovi, è stato dichiarato colpevole di estorsione. Il ricorso che aveva presentato contro la sentenza della Corte d’appello, emessa il 16 aprile 2021, è stato valutato inammissibile dai giudici romani. L’episodio contestato al capoclan, ora in carcere, risale al 1995. Il legale di La Torre, l’avvocato Michele Sodano, aveva chiesto di annullare il verdetto di secondo grado “per violazione del principio di specialità ex articolo 14 della Convenzione europea di estradizione”. Il ricorrente aveva affermato che il procedimento in oggetto “era stato proposto per fatti diversi rispetto a quelli per cui era stata concessa estradizione e precedenti rispetto alla stessa domanda di estradizione”. Inoltre il difensore sosteneva che il reato si fosse prescritto nel 2020 e che la Corte d’appello aveva sbagliato pure nel calcolare la pena non applicando la circostanza dell’attenuante della collaborazione con la giustizia intrapresa da La Torre.
Il ricorso parla di estradizione perché il boss non fu arrestato in Italia: venne ammanettato ad Amsterdam dalla polizia olandese il 7 giugno 1996 mentre si imbarcava su di un aereo. Venne preso in consegna dai carabinieri di Caserta e da quelli di Treviso solo il 19 marzo 1997. Ad essere estrado dai Paesi Bassi fu anche il fratello Antonio (ora libero).
La Cassazione ha chiarito che la Corte d’appello di Napoli già aveva dato atto che dalla documentazione prodotta dal Procuratore generale in udienza risultava che il ministro della Sicurezza e Giustizia del Regno dei Paesi Bassi aveva dichiarato “l’espresso consenso all’estensione dell’azione penale a carico di La Torre per tutti i reati commessi prima della sua consegna”, avvenuta 25 anni fa, tra i quali c’era proprio l’estorsione oggetto del processo.
In merito al mancato riconoscimento dell’attenuante per la collaborazione, i giudici hanno rimarcato che in realtà è stata disattesa: dopo l’iniziale ammissione dell’addebito, l’imputato ha ritrattato la confessione iniziando a negare il proprio coinvolgimento.
Con il no della Cassazione al ricorso, la condanna per pizzo per il boss è diventata irrevocabile: 10 mesi di reclusione (in continuazione con un’altra sentenza passata in giudicato).
Il caso era già stato affrontato dalla seconda sezione penale della Cassazione: nel dicembre 2017 dispose il rinvio ad una nuova sezione della Corte d’appello con l’obiettivo di far luce proprio sulla vicenda estradizione. I togati partenopei, esaminata la documentazione fornita dalla Procura, confermarono quanto deciso dal Tribunale di Napoli il 3 luglio 2014. Poi il nuovo ricorso che ha portato alla decisione presa dagli ‘Ermellini’ lo scorso maggio. Le motivazioni sono state rese note la scorsa settimana.

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