Pizzo e spaccio, spallata al clan Picca: 35 arresti – Tutti i dettagli

Il gruppo di Picca e Di Martino operativo a Carinaro e Teverola. Tra le ipotesi di reato armi, riciclaggio e intestazione fittizia di beni.

Trentadue persone in carcere, 3 ai domiciliari, per 7 è scattato il divieto di dimora in Campania e altri 13 indagati a piede libero: sono le cifre dell’inchiesta, coordinata dalla Dda di Napoli e condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, che ha puntato a disarticolare una costola del clan dei Casalesi guidata, dice l’accusa, da Aldo Picca e Nicola Di Martino. Il lavoro dell’Antimafia ha convinto il giudice Marco Carbone del Tribunale partenopeo a emettere le 42 misure cautelari eseguite ieri mattina all’alba dai carabinieri del comando provinciale diretto dal colonnello Manuel Scarso.

Secondo la Procura, i militari dell’Arma sono riusciti a tracciare l’operatività del gruppo criminale, tra il 2021 e 2023, attivo nell’area tra Teverola e Carinaro, incentrata su estorsioni, intestazioni fittizie di beni, riciclaggio, detenzione di armi e spaccio di stupefacenti: si tratta delle presunte condotte illecite, che vengono contestate a vario titolo ai 55 coinvolti nell’indagine, emerse, stando alla tesi della Dda, grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali, analisi di tabulati, servizi di osservazione e pedinamento. Collettore e organizzatore di tali azioni sarebbe stato Aldo Picca al suo ritorno in libertà dopo aver trascorso circa 19 anni in cella.

Le attività illecite accertate, afferma la Dda, consistevano sia nelle estorsioni ai danni di imprenditori e titolari di esercizi commerciali che nell’imposizione di istituti di vigilanza privata ad attività commerciali presenti sul territorio. La compagine mafiosa avrebbe imposto pure le slot-machine presso bar, locali e sale slot, la cui fornitura era devoluta a società a loro riconducibili o compiacenti. Nel corso dell’attività investigativa è stato anche accertato il tentativo di imporre i servizi di onoranze funebri.

Se gli indagati, sostiene l’accusa, riuscivano a concretizzare le loro azioni illecite è perché facevano leva sulla capacità di intimidazione derivata “dalla consapevolezza della pervasività di un potere spregiudicato a cui prestare acquiescenza: un sistema, in altre parole, del tutto alternativo al complesso di regole disciplinanti la comune convivenza e che ripete la sua forza dalle capacità ‘militari’, ivi compresa quella di resistere anche ai pubblici poteri e alla forza della legge, in ciò essendo agevolato dal clima di omertà che, purtroppo, ancora aleggia in parte degli imprenditori per timore di subire atti ritorsivi contro i propri esercizi commerciali ovvero contro la propria persona o quella dei propri cari”.

Il lavoro dei militari ha fatto emergere i tratti di una cosca che si sarebbe dimostrata pronta a imbracciare di nuovo le armi per concretizzare le proprie pretese criminali sia nei confronti delle vittime che anche nei confronti delle altre cosche confederate. I carabinieri hanno pure accertato che l’associazione guidata da Picca avrebbe tratto buona parte dei suoi introiti illeciti dalla compravendita di una svariata quantità e qualità di sostanze stupefacenti, quasi in regime di monopolio, riuscendo nel breve tempo a saturare di cocaina, hashish e marijuana i suoi territori di competenza.

Assai numerosi erano gli assuntori che si rivolgevano ai pusher collegati a Picca per acquistare, anche più volte al giorno, le diverse droghe. Sono stati registrati casi di acquirenti che, non rispettando i pagamenti (che erano consentiti anche attraverso Pos portatili) e le scadenze pattuite, venivano pestati e in alcuni casi si procedeva a sequestrare loro dei beni personali. Contestualmente all’esecuzione dell’ordinanza di custodia, nei confronti di alcuni destinatari del provvedimento disposto dal gip Carbone, è stato notificato un decreto di sequestro di alcuni beni mobili e quote societarie a loro riconducibili per un valore di oltre un milione di euro.

Nelle prossime ore si terranno gli interrogatori di garanzia per i destinatari della misura cautelare. I 55 indagati sono da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Tra i legali che compongono il collegio difensivo, gli avvocati Raffaele Vanacore, Gaetano Laiso, Carmine D’Aniello, Mirella Baldascino, Mario Griffo, Vincenzo Motti, Alfonso Quarto, Cristina Mottola e Alessandro Motti.

I reato di associazione mafiosa, oltre ad Aldo Picca e a Di Martino, è contestato dalla Dda anche a Salvatore De Santis, Raffaele Di Tella, Carmine Di Tella, Giuseppe Picca, Raffaele Picca, Giovanni Picca, Giuseppe Laudadio, Giuseppe Sarno, Francesco De Chiara, Antonio Zuppa e Michele Vinciguerra.

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