Pizzo, usura e gara truccata al consorzio di Bacino: in 7 a rischio processo

Le vittime taglieggiate per i lavori a un capannone a Carinaro e per lo smaltimento degli automezzi del Consorzio rifiuti. La Dda: estorto denaro a due fratelli in nome del clan Ferrara-Cacciapuoti. Gli indagati sono di Trentola Ducenta, Casale, Aversa, Villaricca, Parete e Napoli

Estorsioni, usura, corruzione e una gara d’appalto truccata: sono i temi dell’inchiesta coordinata dai magistrati Simona Rossi e Graziella Arlomede della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha coinvolto 7 persone. E a loro nelle scorse ore i pm ha notificato l’avviso della conclusione delle indagini preliminari: si tratta di Emilio Chianese, 60enne di Trentola Ducenta, suocero dell’ex sindaco di Aversa, Alfonso Golia (estraneo all’inchiesta), Francesco Ferrara, 57enne, ora in carcere a Vicenza, Antonio Sarracino, 61enne, entrambi di Villaricca, Vincenza Barbarisi, 60enne, adesso in prigione a Poggioreale, Antonio Ferdinando Zivolo, 66enne originario di Casale ma residente ad Aversa, Andrea Improta, 56enne di Napoli e Gianfranco Caldarelli, 48enne di Parete. Ad assisterli gli avvocati Nicola Filippelli, Mario Griffo, Michele Liguori, Gustavo Pansini, Marco Sepe, Ferdinando Letizia, Alfonso Oliva, Angela Boccia e Fabio Della Corte.

A Sarracino e a Chianese la Dda contesta l’estorsione ai danni dei titolari e fratelli di una ditta edile: li avrebbero minacciati costringendoli a versare 12mila euro. Se non lo avessero fatto, i due avrebbero prospettato alle vittime di dover fare i conti “con i compagni a Villaricca” e per gli inquirenti il riferimento era al clan Ferrara-Cacciapuoti. La società taglieggiata era impegnata ad eseguire lavori di messa in sicurezza e bonifica di un capannone a Carinaro. Altro episodio di pizzo viene contestato singolarmente a Sarracino sempre nei confronti degli stessi imprenditori finalizzato ad ottenere 30mila euro da destinare ancora ai ‘compagni di Villaricca’. La Dda contesta il reato di estorsione di nuovo a Sarracino e Chianese, ma con l’aggiunta di Barbarisi, per aver ottenuto sempre dai due fratelli 7.500 euro: cifra che, una volta sborsata, gli avrebbe consentito di poter continuare tranquillamente i lavori di smaltimento di 12 automezzi del Consorzio unico di bacino (Cub) delle province di Napoli e Caserta situati ad Aversa su un terreno che era nella disponibilità di Chianese.

I tre rispondono pure di usura: Sarracino e Chianese avrebbero indicato alle persone offese di rivolgersi a tale Francesco Maglione (non è tra gli indagati) per farsi dare una somma, da poi restituita a tassi altissimi. Per smaltire altri 79 automezzi del Cub, i fratelli avrebbero dovuto versare pure 61.500, condotta che ha portato la Dda a contestare ancora il reato di pizzo e usura a Sarracino, Chianese, Barbarisi e a Francesco Ferrara. Il solo Sarracino risponde inoltre di violenza privata con l’aggravante mafiosa: costrinse, dice la Procura, gli imprenditori a consegnare ai funzionari del Cub i documenti attestanti l’avvenuto smaltimento. Se non l’avessero fatto, aveva minacciato che uno di loro sarebbe stato ucciso.

L’attività investigativa dell’Antimafia ha svelato anche un presunto episodio di corruzione: protagonista è sempre Chianese che avrebbe versato una mazzetta di 2.500 euro a Zivolo, responsabile dell’ufficio gare del Cub, e a Improta, capo del settore amministrativo, affinché commettessero atti contrari ai doveri d’ufficio. Quali? Turbare la gara per affidare il servizio di smaltimento di 79 automezzi per la raccolta dei rifiuti, in disuso, del Cub. Chianese e Sarracino, ha ricostruito la Procura, sarebbero stati gli istigatori, Zivolo e Improta, avrebbero agito in qualità di dipendenti del Consorzio, e avrebbe avuto un ruolo nella vicenda pure Caldarelli in qualità di titolare dell’agenzia di pratiche auto De Cristofaro. I cinque, in relazione a tale vicenda, sono accusati di turbata libertà degli incanti. Conclusa l’attività investigativa, la Dda ora valuta l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio. Gli indagati sono da considerare innocenti fin a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile.

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