Ponticelli, i Licciardi dietro la faida

Napoli. Alla guida dei rivali del gruppo malavitoso dei De Micco-De Martino la madre del boss detenuto Francesco ‘XX’. Il cartello Minichini-De Luca Bossa-Casella federato con la Cupola di Secondigliano

NAPOLI – Due grandi blocchi di camorra si spartiscono la città. Ogni inchiesta continua a confermare che la miriade di gruppi criminali può essere in realtà incanalata in due cartelli contrapposti. Una tesi che vale anche per Ponticelli dove, da alcuni mesi, è in atto uno scontro sanguinoso.
L’ultimo conflitto a Ponticelli vede da una parte i De Martino XX alleati con i De Micco, dall’altra, invece c’è una vera e propria federazione formata dai clan De Luca Bossa-Minichini-Casella che fanno parte, insieme al clan Rinaldi radicato a San Giovanni a Teduccio e i clan Cuccaro e Aprea, attivi nel vicino quartiere di Barra, della cupola mafiosa nota come ‘Alleanza di Secondigliano’, guidata dalle famiglie camorristiche dei Licciardi di Secondigliano, dei Contini-Bosti del Vasto e dell’Arenaccia e dei Mallardo.

Dall’altra parte c’è la federazione criminale che fa capo alla famiglia Mazzarella. Secondo gli inquirenti sono proprio i Licciardi che mantengono gli equilibri malavitosi nel tessuto metropolitano. Da Loro la federazione di Ponticelli avrebbe ottenuto la disponibilità di armi micidiali grazie al potere di approvvigionamento dell’Alleanza, sfruttando le condizioni di omertà interna al sodalizio imposta nell’area orientale e nelle zone limitrofe. La repressione del dissenso arriva attraverso l’eliminazione violenta degli affiliati al gruppo capeggiato da Antonio De Martino, sorto in seguito a contrasti interni in ordine alla spartizione dei profitti illeciti e delle quote di quei profitti destinate al sostentamento delle famiglie degli affiliati detenuti.

Non solo. A Ponticelli l’organizzazione camorristica formata dai gruppi De Luca Bossa-Minichini-Casella è da alcuni mesi in atto una violenta contrapposizione nata dalla pretesa degli affiliati radunatisi sotto la guida del del ras Antonio De Martino e della madre Carmela Ricci di rifiutare la posizione di emarginazione imposta dal vertice dell’organizzazione nella ripartizione dei profitti malavitosi e delle mesate alle famiglie dei detenuti. Da questa questione è nata la decisione dell’organizzazione principale di neutralizzare ogni spinta centrifuga.

Le indagini che hanno portato al recente fermo di Giuseppe Righetto e di Nicola Aulisio, rispettivamente fratellastro e nipote dei Casella per i tentati omicidi di Rosario Rolletta e di Rodolfo Cardone, dimostrano che, a partire dal settembre 2020 la famiglia De Martino alla quale appartengono le vittime, insoddisfatta del trattamento economico ricevuto per i propri detenuti, ha deciso di venire meno ai patti relativi alla spartizione dei proventi derivanti dalle attività estorsive e dal controllo delle piazze di spaccio di Ponticelli, iniziando ad operare senza autorizzazione dei vertici e rifiutandosi di versare le relative quote nelle casse del cartello camorristico di appartenenza.

Dopo lo scontro con i D’Amico, i soggetti rimasti fedeli al clan De Micco, si sono radunati sotto la guida di Francesco De Martino, in quell’anno detenuto, ma presente sul territorio in occasione della fruizione di permessi premio, della moglie Carmela Ricci, di fatto poi divenuta punto di riferimento del clan in seguito all’arresto del figli Antonio e Giuseppe, insieme all’altro Salvatore che, pur continuando a rappresentare un proprio gruppo. a seguito dell’arresto della madre (poi tornata in libertà), ha ceduto ogni pretesa di autonomia dall’alleanza criminale del cartello, nel quale era poi confluita anche la famiglia di camorra dei Casella, della quale Righetto era da tempo “fiduciario rappresentante nella gestione delle imprese violente del clan”.

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