Prese un pen drive di Zagaria, condannato

Pen drive di Zagaria, condannato
Pen drive di Zagaria, condannato

CASAPESENNA – Condannato per aver sottratto una pendrive dall’abitazione dove si nascondeva il boss Michele Zagaria, ma non per aver agevolato il clan dei Casalesi. Condannato per aver truffato l’ex sindaco di Teverola, Biagio Lusini, e un imprenditore di Villa di Briano, ma non è stato giudicato per gli altri presunti 8 raggiri che gli venivano contestati (a causa della tardività nel presentare querela da parte delle persone offese). E assolto dall’accusa di aver fatto accesso abusivamente al Sistema informatico Inteforze (Sdi) negli interessi di costruttori con cui aveva frequentazioni. Ed assolto pure dalla corruzione. È quanto ha stabilito, ieri pomeriggio, il Tribunale di Napoli Nord nei confronti del 55enne Oscar Vesevo, sovrintendente della polizia di Stato. 

L’esponente delle Fiamme oro ha incassato 4 anni e mezzo di reclusione per la pendrive che, 12 anni fa, avrebbe preso dalla casa di via Mascagni (di proprietà dei coniugi Vincenzo Inquieto e Mariarosaria Massa) dove c’era il covo di Michele Zagaria. Il sovrintendente, all’epoca in servizio presso la Squadra mobile di Napoli, che aveva partecipato alle indagini che portarono all’individuazione del nascondiglio del capoclan, latitante da 16 anni, fu tra i primi a fare irruzione nel bunker: era il 7 dicembre 2011. Stando alla tesi del pubblico ministero Maurizio Giordano, titolare dell’inchiesta che ha innescato il processo, Vesevo si era appropriato della pendrive per poi rivenderla per 50mila euro a persone che l’avrebbero fatta riavere alla famiglia Zagaria. Ciò che fosse contenuto in quella chiavetta usb non è mai stato accertato, né è stata individuata dalla Dda l’identità di chi l’avrebbe comprata. Con il verdetto di ieri viene ritenuto provato soltanto che il sovrintendente avrebbe preso il dispositivo informatico, ma non che fosse stato venduto a persone vicine al clan (essendo stato assolto dall’accusa di corruzione). 

Un altro processo, denominato Medea, che aveva acceso i riflettori su una serie di colletti bianchi in combutta con il boss per ottenere appalti pubblici, aveva già analizzato, in parte, la vicenda pendrive. Come? Scandagliando l’ipotesi formulata dall’Antimafia incentrata sul fatto che ad acquistare quella pendrive fosse stato Orlando Diana, fratello dell’uomo d’affari Pinuccio Fontana (condannato con sentenza irrevocabile per mafia). Ma alla conclusione del primo grado, Orlando venne assolto (verdetto definitivo, dato che non è stato impugnato dalla Dda). 

Riguardo alle presunte truffe a Lusini e al brianese, Vesevo ha ricevuto una condanna di un anno e 8 mesi. In totale, il poliziotto ha incassato 6 anni e 2 mesi (a fronte dei 7 anni invocati la Procura). A difendere il sovrintendente durante il processo di primo grado è stato l’avvocato Giovanni Cantelli. Gli imprenditori che avrebbero subito truffe, costituiti parte civile, sono stati rappresentati dagli avvocati Mario Griffo e Vincenzo D’Angelo.

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