NAPOLI – C’era molto vento, il 18 novembre del 1995. Un vento insolito per una regione dal clima mite come la nostra, un vento così forte e infido da spazzare via le vite di due persone. Ventisei anni dopo non è riuscito a spazzare via il ricordo di Antonio Raimondo e di Gaetanina Scotto di Perrotolo, ma la verità sì, quella non è ancora emersa. Ventisei anni dopo non c’è ancora un colpevole per la morte dell’ispettore di Polizia di Caserta e dell’infermiera di Procida morti per prestare soccorso a un giovane rimasto ferito sull’isola di Arturo.
“Fatalità”, dice la verità processuale. Dall’inchiesta penale che ne è scaturita non sono emerse responsabilità. “Possibile che siano morte due persone nello svolgimento del loro dovere e non ci sia nessuno che paghi per questo?”, ripete la famiglia di Raimondo, che anno dopo anno, da un quarto di secolo ormai, prova a non lasciare che il silenzio cada su questa storia. Ma raccontiamola, oggi come 26 anni fa, per chi non la ricorda.
Il 18 novembre 1995 un adolescente procidano si ustiona alle gambe e all’addome mentre lavora in un’officina meccanica. Il medico del Pronto soccorso dell’isola ritiene che quelle ferite vadano curate al Cardarelli per cui chiede alla Capitaneria di Porto una motovedetta per trasportare il ragazzo a Napoli. Il mare è grosso, almeno forza otto, dunque il comandante rifiuta l’intervento. Il medico, ritenendo gravi le condizioni del paziente, chiede alla prefettura il soccorso d’urgenza, che a questo punto contatta il VI Reparto Volo della Polizia di stanza a Capodichino. L’agente scelto pilota Roberto Paolossi tentenna: il vento è sempre più forte ed è pericoloso inviare un mezzo a Procida in quelle condizioni. Il commissario capo Gabriella Pompò riassegna la missione a Leonardo Baia, pilota esperto, a cui viene affiancato un solo specialista anziché due per fare spazio alla barella: Antonio Raimondo. Originario di Grazzanise, 42 anni, marito e padre di due figli piccoli, l’ispettore sale a bordo in condizioni meteo preoccupanti: il vento soffia a 40 chilometri orari, con raffiche da 80, a Napoli. A Procida, dove non c’è un anemometro, non si sa.
In un tempo lunghissimo rispetto al solito, i soccorritori raggiungono l’isola: l’atterraggio avviene al campo sportivo, dove ad attenderli ci sono il ferito in barella, accompagnato dalla giovane infermiera del presidio locale, Gaetanina Scotto di Perrotolo, per tutti Nina, e molte persone. Troppe, per l’ispettore Raimondo, che appena sceso si preoccupa di farle allontanare dall’elicottero. Che, secondo le procedure dell’epoca, resta con le pale in movimento per tutta la durata dell’operazione. Mentre il personale addetto sta imbarcando la barella nel mezzo, una raffica di vento schiaffeggia il campo sportivo e i presenti. L’elicottero si capovolge, la gente scappa, tutti urlano, le pale volteggiano impazzite e colpiscono Antonio e Nina. Il ferito, quello per il quale era stato chiesto l’intervento perché ritenuto in pericolo di vita, scappa da solo sulle sue gambe. A terra restano i corpi senza vita del poliziotto e dell’infermiera che, alla richiesta dei superiori di andare a prestargli soccorso, avevano risposto ‘obbedisco’ senza fiatare. Anni dopo, una sentenza di tribunale stabilirà che nessuno ha colpe in questa brutta storia. Che ‘il fatto non sussiste”, si è trattato di una tragica fatalità. Ma le due famiglie a cui sono stati strappati i loro cari non ci stanno e continuano a chiedere giustizia e verità.