CASERTA – “Il mio compagno è qui dalle sei di mattina, ha dei forti dolori allo stomaco: per ora gli hanno dato un antidolorifico ma non sta facendo effetto e ancora non sappiamo quando verrà visitato”: è da poco passato mezzogiorno quando e lo sconforto è palpabile nella voce di una donna, nella sala d’attesa del Pronto soccorso dell’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, dove i pazienti sono lasciati in balia dell’incertezza, senza neppure la possibilità di sapere vagamente quanto sarà il tempo che dovranno attendere prima di venire visitati.
Sei ore, nella giornata di ieri, per il malcapitato paziente. Giunto poco dopo l’alba, verso le sei, l’uomo lamentava forti dolori addominali e crampi. ‘Solo’ poche ore prima che gli venga somministrato un antidolorifico. Il dolore, però, non è scomparso. Sono da poco passate le undici quando nella sala d’attesa arriva una donna, la compagna. “Spero che non ci voglia molto” le parole escono come un lamento mentre ancora dal braccio spunta il supporto per l’endovena con cui è stato iniettato l’antidolorifico. Non c’è però risposta al dubbio del malato. Inutile avvicinarsi allo sportello del Triage, che comunque resta vuoto per la maggior parte del tempo. “Lo sportello del Triage non è un servizio informazioni” si legge a caratteri ben evidenziati. Non che ci sia, in ogni caso, nessuno a cui chiedere. I pochi operatori disponibili nel reparto devono farsi in quattro pur di andare incontro agli utenti che, sofferenti, sono maldisposti a tollerare le attese. Una donna piange in un angolo. Il figlio cerca di consolarla. Un parente si trova all’interno da ore e non ne hanno notizia. Ed è questo il vero dramma per i pazienti del Pronto soccorso. Non tanto le attese infinite quanto l’incertezza totale che grava sulle visite. La ‘trasparenza’, infatti, è diventata un optional all’Aorn. Basta alzare lo sguardo per accorgersi che i monitor dove una volta venivano elencati, se non i probabili tempi di attesa almeno il numero dei pazienti presenti in lista, così come la loro divisione per codice d’urgenza. Tre schermi in sala, tutti spenti. Tre occhi neri che osservano muti la sofferenza dei pazienti. Non è d’aiuto il sito Internet dell’ospedale. Dove, a patto di riuscire a trovare la pagina con i dati delle attese e dei codici d’accesso al Pronto soccorso, si viene accolti da una pagina ‘in caricamento’. I dati che compaiono sono gli stessi di oltre sei mesi prima. Neppure la Rete può aiutare gli ormai spazientiti pazienti. E’ sconsigliabile chiedere informazioni, soprattutto su quali possano essere le tempistiche di attesa. Gli operatori non ne sono a conoscenza e, nel migliore dei casi, si ottiene una educata (per quanto seccata) risposta generica. Meglio stare in silenzio, quindi ed attendere, possibilmente vicino alla porta d’ingresso. Perché se lo sportello del triage è dotato di un interfono per la comunicazione non c’è un altoparlante, in sala, per chiamare le persone. E’ l’operatore della vigilanza che, volta per volta, deve alzare la voce per chiamare i malati o i loro parenti. Non sempre con successo. Perché è possibile che, dopo tre ore di attesa, una persona sia andata al bagno o si sia allungata al distributore di bibite. Un istante di esitazione e ‘si perde il posto’. Difficile per il personale all’ingresso tenere a mente chi sia stato chiamato e chi no. Il paziente che si distrae, anche solo un attimo, rischia di ritrovarsi ad attendere inutilmente, mentre le visite proseguono senza di lui. Una cinquantina di persone si trova nella sala d’attesa del Pronto soccorso del Sant’Anna. La metà di questi sono parenti, accompagnatori, compagni e fidanzati, figli e genitori. Insieme a lor quei pochi medici e infermieri che ancora resistono, lavorando nei degradati Pronto soccorso della Sanità territoriale. Terra di frontiera, terra di nessuno.
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