ROMA – Il primo a lanciare i dadi, nella lunga partita di Risiko che si concluderà con l’elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale, è stato Mario Draghi. L’onda d’urto delle parole scandite dal premier nella conferenza stampa di fine anno ha investito segretari di partito e ‘peones’ e adesso tutti studiano le possibili strategie o improbabili contromosse.
I malumori non mancano e i modi per esprimerli sono i più disparati. In questo senso, un segnale all’ex presidente della Bce arriva anche dalla commissione Finanze della Camera che decide di non esprimere il parere richiesto sulla manovra. Troppo poco il tempo a disposizione, lamentano i deputati e il malcontento riguarda in modo trasversale tutte le forze di maggioranza.
In ogni caso, anche se la luna di miele dei partiti con ‘super Mario’ sembra essere finita, “la figura in campo più forte e naturale – ammette anche il dem Goffredo Bettini – resta quella di Draghi”. Il dirigente dem, però, mette in guardia su quello che da sempre ritiene un possibile rischio: l’ex presidente Bce al Colle toglierebbe “sovranità al conflitto politico”? In altre parole: si andrebbe verso un semipresidenzialismo di fatto? “L’altra via possibile – prosegue Bettini nel suo ragionamento – sarebbe uno scatto di volontà dei più importanti leader politici italiani per indicare una soluzione diversa da quella di Draghi, in grado di ottenere la maggioranza in parlamento”.
Occorrerebbero, però, “generosità, velocità e reattività”, soprattutto da parte di chi ha più “sofferto e soffre nella situazione compressa dall’emergenza”. Percorso non semplice, insomma. Anche perché l’unico nome che viene scandito in chiaro, almeno da chi si dice pronto a sostenerlo, è quello di Silvio Berlusconi.
Anche Roberto Calderoli, stratega leghista dei giochi parlamentari, non esclude del tutto che alla fine l’ex cavaliere possa farcela. “Chi parla di candidati prima del 10 gennaio è un pazzo, se si fa un nome lo si brucia. La calza della Befana porterà un nome e da lì ci muoveremo”, dice pragmatico, ma poi aggiunge: “Se il centrodestra decide di puntare su Berlusconi il colpo può uscire alla quarta votazione. Se sarà lui il candidato, tenteremo qualunque strada per arrivare all’elezione”.
La pensa diversamente Umberto Bossi: “Volete sapere come andrà a finire? Dovrebbe farcela Casini”, azzarda. Quanto al leader di FI, il senatùr dimostra di aver conservato il suo nordico realismo: “Ricordiamoci sempre che il Presidente della Repubblica è anche il capo dei magistrati. E i magistrati sappiamo che rapporto hanno con Berlusconi”, taglia corto.
Nei giorni della pausa natalizia, in ogni caso, a farla da padrone sono i posizionamenti più o meno fisiologici di tutti gli attori in gioco. La rete dei contatti è fitta, da Giuseppe Conte a Enrico Letta a tutto il centrodestra, che dovrebbe riunirsi a inizio gennaio per fare il punto. “Assecondare la volontà di fatto manifestata da Draghi o provare in un qualche modo a sfidarlo, arrivando a una candidatura unitaria che non sia lui, questo è il bivio che hanno di fronte i leader”, pronostica un parlamentare di primo piano.
Tra i renziani di stretta osservanza, poi, comincia a farsi insistente l’ennesima previsione: “Nel giro di qualche giorno – azzarda un senatore – Matteo lancerà ufficialmente la candidatura di Draghi. I tanti sopraccigli alzati lo ingolosiscono, vorrà la regia della parte più difficile: mettere sù un accordo di legislatura”. Del resto, viene fatto notare, in troppi hanno già dato per scontato che la Lega sarebbe già fuori dal nuovo esecutivo: “tutto sta nel dettaglio della possibile formazione – è il commento tranchant – non esistono governi fotocopia”.(LaPresse)