ROMA – Mario Draghi da premier a capo dello Stato? Un unicum, ma non il solo nella nostra storia della Repubblica. Eventualità che ha fatto interrogare diversi costituzionalisti, soprattutto su alcuni aspetti tecnici che la nostra Costituzione non ha definito.
Due possibilità con risvolti decisamente diversi e a tratti intricati. Qualora l’attuale presidente del Consiglio dovesse essere eletto al Colle con Sergio Mattarella ancora in carica, Draghi si dovrebbe dimettere da premier e quello che in passato era un atto di cortesia – con tanto di dimissioni rifiutate dal nuovo inquilino del Colle – in questa occasione aprirebbe la crisi di governo. Immediatamente dopo sarebbe Mattarella a rimettere il mandato, per dare il posto al suo successore. A palazzo Chigi quindi subentrerebbe come premier il ministro più anziano, Renato Brunetta, mentre Draghi sarebbe impegnato nelle consultazioni per la formazione del nuovo esecutivo. E su questo tema si potrebbero aprire diverse riflessioni, con una certezza, consolidata dalla prassi, che mai un capo dello Stato fresco di elezione ha sciolto le Camere come primo atto. Nel caso in cui invece le votazioni si prolungassero oltre la data del 3 febbraio – scadenza del settennato di Mattarella – si rimescolerebbero varie caselle. Elisabetta Alberti Casellati andrebbe a fare le veci di presidente della Repubblica a palazzo Giustiniani e come presidente del Senato facente funzioni subentrerebbe il vice più anziano, quindi Roberto Calderoli. Quest’ultimo scenario ha tuttavia dei precedenti, quello di Nicola Mancino nel 1999 nel periodo di transizione tra Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi, e quello di Pietro Grasso, quando invece a lasciare il Colle in anticipo fu Giorgio Napolitano nel 2015.
Precedenti a parte, è l’ipotesi Draghi come inquilino di quello che fu il palazzo dei Papi a essere una ‘primizia’, che alle spalle ha diverse curiosità, benché di altra natura. Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato per nomina dell’Assemblea costituente, si ritrovò a essere nella sua vita la prima, la seconda, la terza e la quinta carica dello Stato. De Nicola, incluso tra gli 11 presidenti della Repubblica anche se non volle mai essere chiamato ‘presidente’, ricoprì infatti l’incarico in Senato, alla Camera (durante il Regno d’Italia) e successivamente alla Corte costituzionale. Il primo capo dello Stato della Repubblica italiana fu Luigi Einaudi, perché eletto secondo il dettato della Costituzione nel maggio del 1948. Leone e Napolitano sono invece, fino ad oggi, gli unici presidenti che ricoprivano già il ruolo di senatore a vita. Tra le curiosità di oltre cinquant’anni di Repubblica c’è l’appartenenza geografica degli 11 presidenti.
Fino a Napolitano, la maggioranza assoluta proviene da due sole Regioni: Campania e Piemonte. Einaudi, Saragat e Scalfaro sono infatti piemontesi, De Nicola, Leone e Napolitano sono invece partenopei. L’unico ligure è Sandro Pertini. Siciliano invece Mattarella. Per quanto riguarda l’appartenenza politica, cinque inquilini del Quirinale furono scelti tra le fila della Democrazia cristiana (Gronchi, Segni, Leone, Cossiga e Scalfaro), due dal Psi (Saragat e Pertini), due erano liberali (De Nicola ed Einaudi), uno indipendente (Ciampi, che ha però avuto trascorsi nel Partito d’Azione), uno dei Ds (Napolitano) e uno della Margherita (Mattarella).
(LaPresse/Donatella Di Nitto)