CASAL DI PRINCIPE (Ernesto di Girolamo) – Pasquale Cirillo, accusato del tentato omicidio di Raffale Zippo, e per il quale è stato condannato e arrestato nel febbraio del 2016, aveva chiesto di collaborare con la giustizia ma il tribunale di sorveglianza di Napoli negava questa possibilità (e quindi tutti i benefici penitenziari) per la “impossibilità di utile collaborazione con la giustizia” visto che Cirillo sarebbe stato un “soggetto tuttora gravitante nell’orbita della criminalità organizzata”. Cirillo, 52enne di Casal di Principe, è ritenuto un elemento del clan di Bidognetti ed avrebbe tentato di uccidere Zippo il 25 marzo del 2000 con la vittima che, in quella circostanza, riuscì a sfuggire all’agguato mortale grazie all’attività investigativa delle forze di polizia che scongiurarono l’esecuzione di camorra. Zippo era entrato nel mirino del gruppo criminale impegnato in una violenta lotta per il controllo del territorio e rimase comunque vittima di omicidio il 4 dicembre 2001. Cirillo non si è ‘arreso’ alla decisione del tribunale di sorveglianza di Napoli ed ha presentato addirittura ricorso in Cassazione. E qui c’è stata una vera e propria sorpresa perché i giudici gli hanno dato ragione rinviando nuovamente al tribunale di sorveglianza un nuovo ‘approfondimento’ sul ras dei Casalesi affinché si possa valutare con attenzione una possibile collaborazione con la giustizia. Dalla sentenza emerge che Cirillo svolse nel tentato omicidio il ruolo di vedetta (era, infatti, stato proprio lui ad avvistare per primo la vittima e a segnalarne la presenza ai sicari, restando con costoro in contatto anche nelle ore seguenti). Il Tribunale escludeva che il ruolo di Cirillo fosse marginale – come invocato dalla difesa – all’interno dell’organizzazione clan dei casalesi, essendo viceversa collegato con suoi elementi di spicco e rimarcando come proprio il genitore fosse stato vittima di agguato mortale da parte degli scissionisti avversari del gruppo “Bidognetti”. In chiusura, il medesimo Tribunale affermava non essere comunque stata acquisita la prova dell’avvenuta rescissione dei collegamenti di Cirillo con il crimine organizzato e che il clan di appartenenza risultava ancora attivo nel territorio di influenza, come segnalato dalla nota informativa della Direzione distrettuale antimafia. Per i giudici “il ricorso è fondato” perché “l’accertamento incidentale della collaborazione utilmente prestata, o della collaborazione «impossibile», devoluto al tribunale di sorveglianza, non debba ricomprendere la valutazione sull’assenza di attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, essendo quest’ultimo profilo del tutto distinto, da apprezzarsi solo all’atto della delibazione principale sul richiesto beneficio penitenziario”. Tale principio vale anche nel caso in cui il beneficio penitenziario, diverso dal permesso premio, sia di competenza del medesimo tribunale di sorveglianza. Quindi “l’ordinanza impugnata deve essere annullata al fine di consentire al giudice che l’ha adottata di procedere all’esame della condotta di collaborazione sulla base di adeguate premesse esegetiche”.
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