LONDRA – Boris Johnson è il nuovo leader dei Conservatori e, da domani, il nuovo premier del Regno Unito. Una vittoria, la sua, data già per scontata alla vigilia. Johnson succede a Teresa May uscita di scena lo scorso 20 giugno. La scadenza per il voto per corrispondenza dei 160mila iscritti Tory chiamati a scegliere il capo del partito dei Conservatori era ieri alle 17.
Il super favorito
Johnson ieri sul Daily Telegraph aveva già invitato il Paese a riscoprire attraverso la Brexit “il senso di una missione”. Inoltre aveva messo sotto pressione coloro che non credono alla possibilità di uscita dall’Ue. Ora al neo-vincitore, con 92.163 voti (66%) contro i 46.656 (34%) dello sfidante Jeremy Hunt, spetta una dura battaglia interna e non solo, con i Conservatori tutt’altro che disposti a cedere sul terreno dell’uscita dalla Ue senza accordo.
Il laburista sconfitto
Il laburista Jeremy Corbyn valuta adesso l’ipotesi di una mozione di sfiducia contro Johnson da avviare questo autunno e comunque non prima del 31 ottobre 2019, data indicata dal nuovo premier come “tassativa per l’uscita dall’Unione Europea”.
Quella era ed è la sua battaglia precisando comunque “di non voler uscire dall’Ue senza un accordo, ma di ritenere responsabile prepararsi a una tale eventualità”. Si attendono le dimissioni del Cancelliere dello Scacchiere, Hammond, ministro delle Finanze che aveva annunciato le dimissioni in caso di vittoria di Johnson.
Domani l’incarico
Da domani Johnson assumerà la guida del governo solo dopo che Teresa May avrà formalizzato le sue dimissioni da premier del Paese nella mani della regina. E sarà la stessa sovrana a dare l’incarico domani nel pomeriggio. Solo così Johnson potrà entrare a Downing Street.
Chi è Boris Johnson
Ha origini americane, proviene da una famiglia anglicana. E’ stato ministro degli Esteri e sindaco di Londra per otto anni, dal 2008 al 2016. E dal 2016 al 2018 ha ricoperto la carica di segretario di Stato per gli affari esteri e del Commonwealth del governo May. Può essere definito senza mezzi termini ‘populista’ e ‘controverso’ ed in grado di arginare sia il Labour a sinistra che il Brexit Party a destra. “Solo io – ha dichiarato – posso traghettare il Paese tra Scilla-Corbyn e Cariddi-Farage verso acque più calme”. Il 10 luglio 2018 aveva rassegnato le dimissioni da ministro degli Esteri, in polemica con i piani di May per una Brexit soft.