LONDRA – Boris Johnson voleva essere come il suo eroe Winston Churchill: un personaggio straordinario alla guida del Regno Unito in un periodo di crisi. È stato però colpito e affondato da crisi create da lui stesso, con una serie di accuse diventate una bufera che ha inghiottito il suo governo, portando il partito dei conservatori a rivoltarglisi contro.
Di certo è uno dei politici britannici più divisivi mai visti: un biografo a lui favorevole, Andrew Gimson, lo ha definito “l’uomo che affronta l’establishment e vince”, mentre l’ex deputato Rory Stewart, che corse senza successo contro Johnson per la leadership conservatrice nel 2019, lo definì “probabilmente il miglior bugiardo che abbiamo mai avuto come premier”.
È sempre stata una carriera di estremi quella di Johnson. Ha portato il Regno Unito fuori dall’Ue e ha guidato il Paese durante una crisi sanitaria globale che ha messo in pericolo la sua stessa vita, ma è arrivato al capolinea dopo aver infranto le restrizioni che aveva imposto per la pandemia di Covid-19 e dopo avere fornito versioni diverse e contrastanti su ciò che sapeva della condotta sessuale del conservatore Chris Pincher quando lo nominò al ruolo di ‘deputy chief whip’. Ex sindaco di Londra, giornalista, ex ministro degli Esteri, paladino della Brexit e infine premier, ha accettato di dimettersi dopo che il coro di disapprovazione all’interno dei Tory è diventato troppo grande da sopportare. Una mossa giunta dopo mesi di scandalo sul ‘Partygate’, nell’ambito del quale BoJo è stato multato dalla polizia e criticato dal report dell’investigatrice Sue Gray per aver consentito feste a base di alcol nel suo ufficio fra il 2020 e il 2021 in violazione delle regole di lockdown, dunque mentre tutto il Regno Unito era bloccato a casa. Già allora sembrava che la carriera di uno dei politici più discussi del Regno Unito fosse al capolinea, ma non fu così.
Dopo il ‘Partygate’ Johnson esortò il suo partito e il Paese ad “andare avanti” e a concentrarsi sull’economia in difficoltà per il caro-prezzi e sulla guerra in Ucraina. Ma due clamorose sconfitte elettorali locali per il Partito conservatore di Johnson e le accuse di cattiva condotta sessuale contro il vice-capogruppo Tory Chris Pincher hanno finito per segnare il destino di un politico la cui capacità di sopravvivere agli scandali era leggendaria.
La scelta di Johnson come leader conservatore e primo ministro a luglio del 2019 coronò una corsa da montagne russe. Precedentemente aveva ricoperto incarichi importanti, tra cui quello sindaco di Londra e ministro degli Esteri, ma aveva anche trascorso periodi in disparte dalla politica a seguito di gaffe. Alexander Boris de Pfeffel Johnson, questo il suo nome per esteso, molte volte era stato liquidato come un personaggio leggero a cui mancava la serietà necessaria in un leader.
Un’immagine che in un certo senso aveva talvolta alimentato presentandosi come un populista arruffato che declamava in latino e non si prendeva troppo sul serio.
Eletto per la prima volta in Parlamento nel 2001, si mosse per anni fra giornalismo e politica, diventando noto come editorialista di giornali e ospite di quiz comici televisivi. Con commenti talvolta offensivi che liquidò come semplici battute, come per esempio quando definì cannibali gli abitanti di Papua Nuova Guinea e paragonò le donne musulmane che indossano il velo a delle cassette della posta. Il suo primo grande incarico politico, come sindaco di Londra, lo ricoprì tra il 2008 e il 2016: fu in questo periodo in cui si costruì un alto profilo globale come ambasciatore della città, figura esemplificata dalle immagini di quando rimase bloccato su una teleferica durante le Olimpiadi di Londra 2012 sventolando le Union Jack mentre penzolava in aria.
Da giornalista fu licenziato dal Times of London per aver inventato una citazione e fu licenziato da un incarico conservatore di alto livello per aver mentito su una relazione extraconiugale. In qualità di corrispondente da Bruxelles per il Daily Telegraph, si specializzò in notizie esagerate di sprechi dell’Ue e burocrazia, storie che hanno contribuito a portare l’opinione pubblica britannica contro l’Ue, con conseguenze di vasta portata. Lo storico Max Hastings, ex capo di Johnson al Telegraph, in seguito lo definì “un uomo dalle doti straordinarie, viziato da un’assenza di coscienza, di principio o di scrupolo”.
Fu la Brexit a dargli la sua grande chance. La sua campagna pro ‘leave’ contribuì a raggiungere la vittoria di misura del referendum del 2016. Secondo i sostenitori, fu la sua energia ad aiutarlo.
Secondo i detrattori, invece, furono le bugie della campagna elettorale, come la falsa affermazione che il Regno Unito inviava all’Ue una somma di denaro di 350 milioni di sterline a settimana, che si sarebbero potuti spendere per il servizio sanitario nazionale. La Brexit fu per lui un trionfo, ma il partito conservatore scelse Theresa May. Johnson dovette quindi aspettare tre anni per prendere le redini del governo, a dicembre del 2019.
Dopo diversi ritardi, l’uscita di Londra dall’Ue giunse il 31 gennaio del 2020. Eppure, nonostante lo slogan di Johnson, la Brexit era tutt’altro che “completata”, con molte questioni ancora da risolvere, tra cui il delicato status dell’Irlanda del Nord, continua fonte di attrito tra Regno Unito e Ue. A quel punto arrivò la pandemia. Dopo un’iniziale esitazione, Johnson cambiò rotta e impose un lockdown a fine marzo, per poi ammalarsi di Covid lui stesso e finire in terapia intensiva: con uno dei tassi di mortalità per coronavirus più alti d’Europa, da premier fece però una cosa importante, cioè investire nello sviluppo e nell’acquisto di vaccini. Il successo della campagna vaccinale diede a Johnson una spinta nei sondaggi, ma iniziarono poi i problemi, con lo scandalo dei party a Downing Street. Una tregua alle crisi interne è arrivata con l’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio, dando a politici e media britannici cose più urgenti su cui concentrarsi. Ma le sconfitte elettorali alle suppletive di giugno e la gestione dello scandalo sulla condotta sessuale di Chris Pincher hanno travolto Johnson, ponendo la parola fine alla sua corsa miracolosa.
(LaPresse)