Revocato il programma di protezione a Francesco Sandokan Schiavone. Il capomafia torna al 41 bis

La decisione della Procura di Napoli. Il fondatore del clan dei Casalesi aveva iniziato a parlare con i magistrati lo scorso marzo

CASAL DI PRINCIPE – Non è decollata. La collaborazione con la giustizia di Francesco Sandokan Schiavone, fondatore del clan dei Casalesi, si è dimostrata incapace di superare anche i 180 giorni in cui, di norma, il mafioso desideroso di cambiare vita, interrogato a tamburo battente da magistrati e investigatori, illustra i contenuti del complicato percorso intrapreso. Nelle scorse settimane, infatti, la Procura di Napoli aveva inviato al Viminale la richiesta di revoca del programma provvisorio di protezione a cui era stato sottoposto il boss. Per quale ragione? A quanto pare, ciò che aveva detto finora non è stato ritenuto sufficiente dall’Antimafia per strutturare un solido rapporto di collaborazione con l’ergastolano. Sandokan avrebbe riferito circostanze e fatti molto datati nel tempo, alcuni già noti e altri senza riscontri oggettivi. E dalla commissione centrale (l’organo amministrativo competente sulle misure di protezione per i testimoni e i collaboratori di giustizia), esaminato quanto relazionato, è arrivato il via libera a ciò che avevano avanzato di concerto la Procura di Napoli e la Direzione nazionale antimafia: fermare il dialogo con Sandokan.

Oltre alla revoca del programma provvisorio, il ministero degli Interni ha disposto per Schiavone anche il suo ritorno al 41 bis. Il boss, che da marzo scorso stava assaporando, dopo 26 anni, un regime di detenzione più leggero, è stato rispedito al carcere duro.
La decisione presa dalla Procura e accolta dal Ministero sullo stop alla collaborazione non inciderà sui familiari del capomafia. L’ex moglie Giuseppina Nappa e le sue due figlie continueranno ad essere sottoposte al programma di protezione offerto loro nel 2018, quando a decidere di iniziare a parlare con i magistrati fu Nicola Schiavone, il primogenito di Sandokan, assistito dall’avvocato Stefania Pacelli. Tre anni dopo seguì quella stessa strada anche Walter, altro figlio del capoclan, assistito dal legale Domenico Esposito.
Sono al momento in prigione altri due suoi figli, Emanuele Libero (arrestato lo scorso 15 giugno per detenzione illegale di armi) e Carmine (ritenuto colpevole di associazione mafiosa – dovrebbe essere scarcerato l’anno prossimo), entrambi assistiti dal legale Paolo Caterino. È libero, invece, Ivanhoe Schiavone (che dopo il raid di piombo contro la sua casa di via Bologna, dove vive con Emanuele Libero, aveva lasciato Casale).

Bardellino, tesori e cold case. La Procura dovrà fare da sola

La speranza era che avesse potuto aiutare gli inquirenti a indicare i tanti killer, ancora senza un nome, che hanno ucciso per conto del clan che ha fondato. La speranza era che avesse dato elementi per permettere ai magistrati di tracciare i profili di chi si è arricchito sfruttando il terrore mafioso. La speranza era che avesse elencato i politici insospettabili da lui sostenuti. La speranza era che avesse consegnato le prove necessarie a risolvere il mistero della scomparsa di Antonio Bardellino (nella foto a sinistra). Speranza legittima, ma dalle 15:47 di ieri, quando Cronache di Caserta ha dato la notizia dello stop alla collaborazione, si è dimostrata essere tristemente vana.
Salvo colpi di scena, non sarà il fondatore del clan dei Casalesi ad aiutare gli inquirenti della Dda di Napoli a risolvere i cold case, a confiscare le ricchezze sporche del sangue sparso dalla mafia, ad assicurare alla giustizia chi ha occupato ruoli istituzionali con l’aiuto della criminalità organizzata, a dire se Bardellino è stato realmente ucciso da Mario Iovine, in Brasile, o se, per qualche accordo ancora ignoto, fu lasciato in vita.
Essendo stato al vertice della mafia dell’Agro aversano (ruolo che andò a occupare proprio dopo aver tolto dal trono Bardellino), nonostante i suoi 26 anni trascorsi al 41 bis, ci si attendeva che fosse in possesso di un bagaglio di notizie importanti, capaci di puntellare quanto già aveva tracciato l’Antimafia in questi due decenni di inchieste e anche di avviarne nuove. C’è da capire, ora, se quella previsione era eccessiva, e in questo caso il capomafia si sarebbe rivelato detentore di informazioni già tutte esplorate, o se la collaborazione con Schiavone è finita perché ha deciso lui, gradualmente, di tirare i remi in barca, sperando, magari, di poter continuare a ottenere i benefici della collaborazione rivelando dati inutili che non sarebbero andati a intaccare gli interessi che ancora protegge. Si tratta di dubbi che potranno essere risolti solo nelle prossime settimane, quando si avranno informazioni certe sul motivo della rvoca del programma a leader dei Casalesi.

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