ROMA – Il ‘cantiere’ delle riforme costituzionali prova a riaprire i battenti. Domani, infatti, la commissione Affari costituzionali alla Camera tornerà ad esaminare il ddl costituzionale Fornaro (che interviene sugli articoli 57 e 83 della Costituzione, in materia di base territoriale per l’elezione del Senato della Repubblica e di riduzione del numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica) e la proposta di legge costituzionale presentata da Giorgia Meloni che prevede l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Sono 42 gli emendamenti presentati dai partiti alla riforma presidenzialista e tre – tutti di Italia viva – quelli dichiarati inammissibili.
I renziani, che pure si dicono “a favore del presidenzialismo” – secondo quanto apprende LaPresse – dovrebbero comunque bocciare la proposta che arriva da FdI. Il testo, viene spiegato da fonti Iv, “introduce l’elezione del presidente della Repubblica ma non interviene su altri aspetti. Noi abbiamo presentato una ventina di emendamenti correttivi e una parte è già stata dichiarata inammissibile e questo pregiudica molto il prosieguo dell’esame. Si dovrebbe poter intervenire sul bicameralismo, modificare i poteri del Parlamento e delle Regioni in modo da contrappesare i nuovi poteri del presidente della repubblica”. La proposta di legge, quindi, dovrebbe incassare solo i voti del centrodestra, insufficienti per ottenere l’approvazione. “Siamo di fronte a un puro esercizio di stile – tagliano corto infatti fonti di centrosinistra della maggioranza – non è assolutamente fattibile quello che loro propongono, specie nei dieci mesi che ci separano dalla fine della legislatura”. Il testo, in ogni caso, è stato inserito all’ordine del giorno dell’Assemblea della Camera a partire dal 21 marzo prossimo.
Cambierà, invece, con ogni probabilità il ddl Fornaro. Lo stesso firmatario del provvedimento, infatti, ha presentato due emendamenti per modificare il testo incardinato originariamente. Una proposta di modifica di fatto elimina la riduzione (da tre a due per ogni Regione) del numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica, mentre un’altra elimina la distinzione della base elettorale (circoscrizionale e non più regionale) per l’assemblea di palazzo Madama. Sulla possibilità di lasciare invariato il numero dei delegati regionali (nonostante la riduzione del numero dei parlamentari che sarà in vigore dalla prossima legislatura), viene riferito, dovrebbe esserci l’accordo di tutti i partiti. Domani i voti su emendamenti e subemendamenti chiariranno il futuro del provvedimento.
Di Nadia Pietrafitta