Roma (LaPresse) – Truffa aggravata e indebita compensazione di debiti tributari e previdenziali con crediti inesistenti. Con questi due capi d’accusa sono stati arrestati a Roma, dalla Guardia di Finanza Gian Luca Apolloni, considerato il faccendiere dei Panama Papers e l’imprenditore Roberto Laganà, titolare della Rts, società cooperativa, attiva nel settore dell’intermediazione di forza lavoro.
Sono inoltre stati sottoposti a sequestro beni immobili, terreni e conti correnti per un valore di oltre 35 milioni di euro. L’indagine, coordinata dalla locale procura della Repubblica, ha preso avvio proprio dalle rivelazioni dell’International Consortium of Investigative Journalists. Che ha pubblicato online i dati dello studio legale panamense ‘Mossack Fonseca’. Dalle indagini dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Roma, insieme all’Ufficio antifrode dell’Agenzia delle Entrate, è emersa “la figura del professionista quale intermediario nella creazione di oltre 200 ‘società schermo’ a Panama. Collegate a ulteriori imprese aventi sede a Samoa, Bahamas, Anguilla, Isole Vergini Britanniche e Cipro”.
Simulazioni d’investimenti in aree disagiate
Attraverso indagini tecniche e perquisizioni, i finanzieri hanno scoperto che “la società Rts, per neutralizzare i propri debiti fiscali e previdenziali, ha eseguito numerose compensazioni indebite. Tramite presentazione di modelli di pagamento F24 relativi a crediti d’imposta inesistenti. Per oltre 15 milioni di euro, azzerando fraudolentemente le posizioni debitorie”. Secondo l’accusa “la società, su direttive di Apolloni, simulava investimenti in aree disagiate del sud-Italia. Per vantare crediti d’imposta fittizi utilizzando il codice tributo legato ai programmi di defiscalizzazione. Così da incentivare lo sviluppo di quartieri e aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale”.
Secondo la guardia di finanza, infine, “Apolloni ha truffato numerose persone che si erano rivolte a lui, su suggerimento di funzionari di una banca lussemburghese. Per gestire le operazioni di rientro di capitali detenuti all’estero tramite la procedura della voluntary disclosure”. “Spacciandosi per commercialista e professore di diritto tributario – osservano i finanzieri – il protagonista della frode proponeva ai malcapitati di occuparsi in prima persona delle incombenze del caso. Chiedeva lauti compensi a titolo di competenze professionali e si faceva accreditare le somme apparentemente necessarie per il pagamento – in realtà mai avvenuto – delle imposte dovute. Il tutto per una truffa da circa 2 milioni di euro ai danni di otto vittime, clienti del professionista”.