ROMA (LaPresse) – I Casamonica fanno paura. E il terrore che incute il clan della Romanina lo si vede sulle facce di tutti i testimoni chiamati a deporre in aula nel processo sul raid nel Roxy bar. Davanti ai giudici della sesta sezione penale, nel processo per lesioni e violenza privata ad Antonio Casamonica, si avvicendano quattro testimoni di quella domenica di Pasqua violenta. Che ha già portato alle tre condanne, con rito abbreviato di Alfredo, Vincenzo ed Enrico Di Silvio.
Il terrore dei testimoni che accusano i Casamonica
L’invalida civile picchiata nel locale, chiede di essere audita a porte chiuse e ammette di “vivere costantemente nella paura da quando ha denunciato” il pestaggio. “Sono stata l’unica ad oppormi a quanto accadeva in quel bar – dice davanti ai giudici -. Nessuno si è opposto e ha fatto nulla mentre mi aggredivano”.
Dopo di lei interviene un testimone oculare, un uomo robusto, alto un metro e 85 che, balbettando, conferma di essere scappato al momento dell’aggressione di ricordare poco. “Sono una persona paurosa”, dice aggiungendo che tutti i presenti quel giorno agirono come lui.
Le dichiarazioni del titolare del bar
Marian Roman, il titolare del bar, si dice “terrorizzato”, perché “con quelle persone è meglio non avere nulla a che fare”, dice a mezza bocca. Ammette che non voleva neanche sporgere denuncia, nonostante fosse stato aggredito a calci, pugni, bottigliate, e ne sia uscito con il locale devastato. Alla domanda sul perché abbia tanta paura dei Casamonica, non riesce a rispondere. Lo sguardo basso, resta in silenzio, trema. Ricorda solo alcuni degli insulti, delle minacce e quelle urla dopo il pestaggio. “Se domani apri il bar ti ammazziamo! Non ti scordare che questa è zona nostra!”
Il coraggio di denunciare
Roxana, la moglie, titolare del bar, non era nel locale al momento delle aggressioni perché, nel giorno di Pasqua, era rimasta in casa con i bambini. È stata lei a denunciare per prima, insieme alla cliente picchiata, quanto era avvenuto.
“La paura c’è, io stessa ne ho, e chi tra gli abitanti del quartiere mi ha detto che ho fatto bene a denunciare. Me l’ha sempre detto a bassa voce, nel timore di farsi sentire”, dice. Ma nonostante le aggressioni e le successive minacce Roxana denuncerebbe di nuovo. “Perché dopo una vita di sacrifici, lavorando dalla mattina alla sera, anche quando ero incinta, non voglio che i miei figli crescano nella rassegnazione come gli abitanti della Romanina – spiega -. Voglio educare i miei figli secondo principi diversi”.