S. MARIA C.V. – Una polveriera pronta a esplodere: è così che per mesi è apparso il rione Iacp. Le avvisaglie che prima o poi ci sarebbe scappato il morto, purtroppo, erano evidenti. Raid incendiari, risse, inseguimenti, stese: tutto frutto del conflitto tra bande impegnate a contendersi le piazze di spaccio di via Raffaello e via Giotto. Pronostico azzeccato. Perché la polveriera è effettivamente esplosa. Quando? La notte di San Silvestro. Emanuele Nebbia, 26enne, stava lasciando la sua abitazione per andare a festeggiare in strada con gli amici: ad impedirglielo è stato il proiettile che qualcuno gli ha esploso in direzione della tempia destra. Il giovane era arrivato all’ospedale di Caserta in condizioni critiche: poche ore dopo, infatti, i medici hanno dichiarato la morte cerebrale e venerdì scorso è stato constatato il suo decesso.
A tentare di far luce su questo delitto, ora, sono gli agenti della Squadra mobile di Caserta, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli. I poliziotti, diretti dal vicequestore Dario Mongiovì, stanno rimettendo in sequenza le ultime azioni del 26enne, ritenuto legato ad uno dei due gruppi criminali in lotta per accaparrarsi il controllo dello smercio di droga nel rione. Un episodio decisivo che avrebbe potuto spingere i rivali ad organizzare l’agguato che lo ha portato alla morte risale a tre mesi fa: Emanuele si sarebbe reso protagonista di un raid di piombo in via Giotto. Ed infatti era indagato dalla Procura di S. Maria C.V. con l’accusa di aver esploso colpi d’arma da fuoco in direzione dell’abitazione di un soggetto appartenente alla compagine a lui rivale (formazione che sarebbe guidata da un 39enne già resosi protagonista negli ultimi anni di varie azioni criminali). I proiettili raggiunsero la finestra dell’appartamento. Trascorsero poche ore da quel raid e i carabinieri della Compagnia fermarono Nebbia per sottoporlo alla prova dello Stub (per verificare se ci fossero o meno sul corpo o sui suoi vestiti tracce di polvere da sparo): venne portato prima in caserma a Santa Maria Capua Vetere e poi a Caserta dove venne eseguito l’esame.
Gli investigatori ipotizzano che il suo omicidio rappresenti la risposta all’incursione armata che fece tre mesi fa. Una reazione forte, una prova di muscoli. E così l’escalation criminale ha raggiunto il suo apice: zuffe, stese, inseguimenti e l’omicidio.
I funerali di Emanuele Nebbia non sono stati ancora fissati. La sua salma, che dal reparto di terapia intensiva è stata trasportata all’istituto di medicina legale, infatti, prima di essere restituita ai suoi cari dovrà essere sottoposta ad esame autoptico. A rappresentare i familiari della vittima in queste delicate fasi investigative è l’avvocato Clemente Mottola.
I legami con il carcere tra droga e rivolte
L’assassinio di Emanuele Nebbia ha avuto ripercussioni anche nel mondo carcerario. Quando le sue condizioni ormai sembravano irreversibili, il fratello Luigi, difeso dall’avvocato Clemente Mottola, detenuto nella prigione ‘Francesca Uccella’, dove sta scontando un cumulo di pena che supera i 9 anni, aveva chiesto al magistrato di Sorveglianza un permesso per poter andare a fare visita ad Emanuele, in fin di vita. Il temporeggiare da parte del giudice avrebbe prima spazientito e poi fatto arrabbiare Luigi. E quest’ultimo, insieme ad altri detenuti, avrebbe reagito alla mancata risposta del magistrato innescando una rivolta sedata dopo diverse ore solo grazie al massiccio intervento degli agenti.
A legare la famiglia Nebbia al mondo del carcere è anche un altro fratello di Emanuele, Diamante (al momento ai domiciliari e anche lui assistito dal legale Mottola): venne arrestato l’anno scorso e condannato in primo grado per aver tentato di introdurre, insieme ad altri tre complici, droga e cellulari all’interno della prigione di Santa Maria Capua Vetere con un drone.
Notte di sangue a Santa Maria Capua Vetere. Agguato nel rione…