ROMA – Matteo Salvini candida Mario Draghi al Quirinale e apre la corsa al Colle più alto di Roma. Il ‘non detto’, che va avanti da mesi, viene schiaffato in prima pagina – accompagnato da un doveroso “se lui è disponibile” – e tagliando le gambe al governo dei migliori. Il conto alla rovescia è praticamente attivato e segnerà l’ora X a gennaio del 2022, quando, molto probabilmente dopo l’Epifania, si potrebbe convocare il Parlamento in seduta comune per eleggere il successore di Sergio Mattarella.
L’ipotesi di Salvini
Il mandato del capo dello stato scade il 3 febbraio e ad oggi non è neanche iniziato il semestre bianco, ma nei palazzi della politica il tema prende corpo di giorno in giorno. Una mossa, quella del leader leghista, che spariglia e che sicuramente non segue quel politically correct che, con Mattarella nei pieno dei suoi poteri, non vorrebbe che si parlasse di candidature. Sicuramente sul timing del segretario del Carroccio non converge Renato Brunetta, collega di governo e alleato di coalizione. Per il titolare della Pubblica amministrazione, primo fan dell’ex presidente della Bce, il governo Draghi deve arrivare fino a fine legislatura e quindi nel 2023.
Il tema che divide
Il tema divide dentro e fuori l’esecutivo, ma anche nel centrodestra. Pensare di votare Draghi come presidente della Repubblica e quindi andare subito dopo a elezioni non convince non solo Forza Italia. Ma anche il Partito democratico e non ultimo l’Europa. Mister ‘whatever it takes’ alla guida dell’Italia è una garanzia anche per il Pnrr, da poco presentato, per cui si prevedono oltre 8 mesi per la sua realizzazione. Ben 48 riforme di cui otto da fare entro giugno. Con un cronoprogramma – rileva il Sole 24 ore – che prenderà tutto il 2021 e il 2022, senza contare quelle settoriali. Il Parlamento sarà schierato in prima linea in questa tabella di marcia che vedrà 5-6 decreti legge e una decina di leggi delega tra 2021 e 2022.
Un super lavoro
Un super lavoro che ha visto anche l’intervento dello stesso Mattarella che, dopo aver incontrato i presidenti di Camera e Senato, Fico e Casellati, ne ha auspicato “un percorso efficace e rapido di esame e approvazione”. Tra i corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama, insomma, si esclude che Draghi abbandoni il progetto epocale, per cui è stato chiamato in causa, per andare al Quirinale, lasciando in altre mani, non bene definite, le risorse vitali per la ripresa del Paese dopo la pandemia. O peggio il Paese fermo affidato a una lunga campagna elettorale e poi al voto per un nuovo governo.
Le possibilità
Draghi sicuramente sarebbe il nome su cui un’ampia maggioranza potrebbe convergere, per ora solo Giorgia Meloni si è detta contraria. Ma il senso del dovere potrebbe prevalere e il premier potrebbe decidere di saltare il giro della scala al Colle e terminare il suo lavoro a palazzo Chigi. Si tratta di ipotesi, scenari indefiniti, che tuttavia, seguendo questa linea, porterebbe a una lunga trattativa tra partiti per trovare il nome da far succedere a Mattarella.
Con Draghi fuori dai giochi le possibilità che centrodestra e centrosinistra (benché Salvini dica che abbia una lunga lista di candidati) trovino la soluzione condivisa fa presagire lunghe riunioni e caminetti interminabili. Anche perché la soluzione di un bis per Mattarella è stata esclusa dal presidente stesso. L’inquilino del Colle, ricordando Antonio Segni nei 130 anni dalla nascita, ha chiaramente sposato la convinzione del suo predecessore, contrario al doppio settennato. Tanto da rilevarne la necessità di inserire il diniego nella Costituzione.
Una partita chiusa?
Partita chiusa? Non proprio, l’ipotesi di un mandato a tempo, entro i nove anni – arco temporale concesso per il mandato più lungo delle alte cariche dello Stato, quello del presidente della Consulta – potrebbe essere, filtra da parlamentari di esperienza, un compromesso per portare a termine le riforme del Recovery, mette in sicurezza il Paese e andare ad elezioni. Una forzatura che difficilmente Mattarella accetterebbe se non ci fosse in ballo la stabilità dell’Italia.
In questo modo però sarebbe lui a guidare la formazione del governo nel 2023 e con il nuovo esecutivo si potrebbe eleggere il capo dello Stato con il Parlamento ridisegnato dal taglio dei parlamentari. Poco più di un anno per avere Draghi poi con le mani libere. Il precedente c’è, quello di Napolitano che rispose presente quando la politica non riuscì a trovare quel raccordo, che l’elezione di un presidente richiede.
L’ipotesi più gettonata
Tornando all’ipotesi più gettonata – anche tra diversi ministri interpellati- , quella che Draghi resti alla guida di questa maggioranza – frizioni permettendo – a quel punto, è l’auspicio in Ue, per il ruolo che si sta ritagliando e per lo spazio in termini di credibilità e autorevolezza che sta guadagnando, potrebbe anche guardare al posto di commissario UE, che Ursula von der Leyner lascerà libero nel 2024. E in Italia? L’ambizione è quella di eleggere una donna. Un auspicio che lo stesso Mattarella non ha mai negato.
(LaPresse/di Donatella Di Nitto)