Sanremo, detenuti in rivolta per lo spegnimento della tv

Sono intervenuti direttore e comandante che hanno avuto un colloquio con i rappresentanti della popolazione detenuta e il direttore ha deciso di non dare più luogo alle disposizioni del dipartimento

Foto Piero Cruciatti / LaPresse

MILANO – Pochi minuti dopo la mezzanotte di oggi, i detenuti ristretti nella terza sezione detentiva nr. 53, nella seconda sezione detentiva nr. 52 e nella prima sezione detentiva nr. 47, per un totale di 152 detenuti del carcere di Sanremo (IM). Dopo che il personale di polizia penitenziaria, come da disposizioni della Direzione generale dei detenuti del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), hanno data vita a un violenta protesta sbattendo suppellettili, pentolame contro le inferriate dei cancelli. E gettando nei corridoi bombolette di gas e carta incendiata.

L’intervento del direttore e del comandante per sedare la rivolta

Sono intervenuti direttore e comandante che hanno avuto un colloquio con i rappresentanti della popolazione detenuta. E il direttore ha deciso di non dare più luogo alle disposizioni del dipartimento. A renderlo noto è l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci.

Le condizioni delle carceri italiane

“Due sono i principali problemi che affliggono oggi le carceri italiane e nei cui confronti né l’autorità politica del dicastero della Giustizia nella persona del guardasigilli Alfonso Bonafede né lo stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria hanno posto alcun correttivo – sottolinea Beneduci – e ci riferiamo in particolare, da un lato, al crescente strapotere che i detenuti esercitano all’interno delle carceri italiane, spesso attraverso esternazioni di vera e propria violenza e ciò nonostante supportate dall’appoggio o comunque dalla tutela di associazioni e garanti di varia provenienza”.

Occorre una riorganizzazione competente e al passo con i tempi

D’altro canto sussiste il problema che alcune disposizioni, all’apparenza restrittive, emanate nel clima di tensione in questo momento esistente e perciò in maniera del tutto estemporanea hanno come unico effetto di accrescere la criticità esistente, spesso anche in danno dell’incolumità fisica dei poliziotti penitenziari. Per tali ragioni le attuali carceri del Paese, in assenza di una riorganizzazione competente e al passo con i tempi, in cui tra l’altro si provveda realmente a differenziare la custodia dei detenuti di maggiore rischio e pericolosità, ovvero a perseguire disciplinarmente gli episodi di violenza posti in essere dai reclusi, non solo hanno cessato da tempo di svolgere un servizio utile per la collettività, ma, addirittura, costituiscono esse stesse vere e proprie università del crimine in cui è poi il personale di Polizia Penitenziaria a pagare sulla propria pelle il prezzo del costante disservizio”.

(LaPresse)

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