SANREMO – “Squadra che vince non si cambia”. È in queste parole dell’ad della Rai Carlo Fuortes, la soddisfazione per un Festival di Sanremo che ha superato, in termini di ascolti e non solo, ogni più rosea aspettativa. E c’è la conferma che si lavorerà a un ‘quarto mandato’ per Amadeus, che anche nella serata finale ha battuto se stesso con 13.380.000 spettatori e il 65% di share: per trovare un risultato migliore bisogna tornare indietro di 22 anni. Un successo durato per tutte le cinque serate e che la Rai può tangibilmente misurare con il record di 42 milioni di raccolta pubblicitaria. Sarà difficile ora per il direttore artistico dire di no, e lui apre: “Sono onorato dalle parole del dottor Fuortes, lo ringrazio. Come ha detto lui, dobbiamo ragionare a menti riposate. Fare Sanremo è un lavoro molto lungo. Le cose vanno fatte quando si hanno idee, entusiasmo. Ora avremo modo di vederci e chiacchierare serenamente per parlare di Sanremo e anche di altri progetti”. Secondo Fuortes, comunque, “sarebbe pazzesco non ripartire da qui: la nostra azienda con questo Festival entra a pieno titolo nella televisione del futuro”.
Volti distesi nella conferenza stampa finale, tradizionale rito all’indomani della finale, vinta da Mahmood e Blanco con ‘Brividi. Fuortes rincara la dose: “Amadeus non voglio ringraziarlo, voglio farli un peana, ha condotto in modo magistrale, sia la parte artistica che la parte di conduzione. Ringrazio gli autori e tutti gli artisti, e tutta la nostra grande azienda Rai. Non posso citarli tutti, ma è un lavoro corale. Il valore straordinario di questa edizione è il successo che abbiamo avuto col pubblico giovane”.
Il direttore di Rai1, Stefano Coletta, conferma: “A vincere è stata la direzione artistica di Amadeus. Un successo che dobbiamo sedimentare, perché è qualcosa di veramente enorme”.
L’eroe di giornata non nasconde una grande soddisfazione dopo tanto lavoro: “Per me è una giornata speciale, una di quelle giornate che voglio ricordarmi per sempre. È chiaro – dice Amadeus – che il dato di ascolto è importante, ma quello che mi interessa è il tipo di Festival che si fa. Il ‘triplete’ è una sensazione particolare. Tutto è cominciato dal primo anno, un Festival importante, il 70esimo, ed era il Festival dell’assembramento, della gioia. Il secondo anno siamo piombati nel dramma, ma il Sanremo di quest’anno è figlio del Sanremo dell’anno scorso. Lì ho pensato di trasformare musicalmente quel Festival. E il direttore Stefano Coletta mi ha sostenuto. Ho deciso di dare ai giovani, che avevano trascorso un anno chiusi in casa, il ‘loro’ festival, privilegiandoli rispetto a tutti gli altri target. In un anno in cui si era costretti a stare da soli a guardarlo, non si poteva pensare che tutti lo guardassero, perché il festival è aggregazione, come una finale dei Mondiali. Ma lì ho portato la rivoluzione musicale”.
Ora è finita e Amadeus ammette: “La mia paura più grande questa settimana era quella di contagiarmi. Perché davvero non c’era un piano B, e ogni volta che uscivo da quella stanza dei tamponi, ogni 48 ore, sembrava che avesse segnato Lautaro”, dice con un riferimento alla sua squadra del cuore, l’Inter. Poi conclude con una battuta: “Il mio primo Festival ha fatto rumore, il secondo ha fatto stare zitti e buoni, ma il terzo è da brividi”.
dell’inviato Claudio Maddaloni