Scacco ai Licciardi, il boss su Tik-tok per imporre il pizzo: Giannelli scopre un truffatore e gli fa chiedere 50mila euro

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Alessandro Giannelli e Paolo Abbatiello

NAPOLI – A 24 ore dal maxi blitz contro il clan Licciardi, emergono particolari delle indagini. Stando alla ricostruzione della Procura. I boss scoprono i giri di truffe telematiche anche su Tiktok: in un caso un truffatore si è fatto riprendere in un video mentre si vanta con tremila euro in mano. Basta scorrere tra i profili social. Secondo la ricostruzione della Procura Alessandro Giannelli (nella foto in basso) avrebbe mandato l’imbasciata dal carcere che i truffatori operanti nella zona di Cavalleggeri d’Aosta dovevano corrispondere parte dei guadagni delle
truffe commesse nella zona. Tutto parte dalle intercettazioni telefoniche e ambientali dei carabinieri. Stando alle conversazioni captate, l’ordine era chiaro: chiunque commette truffe a Cavalleggeri deve versare una quota. Giannelli avrebbe visto il video su TikTok con il presunto truffatore che osteggia 3mila euro tra le mani. Secondo la Procura, Giannelli avrebbe mandato l’imbasciata: devi consegnare altri 47mila euro oltre ai 3mila nel video, è questa quota sui proventi delle truffe on line sui conto correnti commesse a Cavalleggeri. In un primo momento il truffatore che opera tra Secondigliano e il Rione Traiano aveva rifiutato. Giannelli non l’avrebbe presa bene e avrebbe chiesto a esponenti dei Licciardi di intervenire. Il clan della Masseria Cardone ha poi mediato.

Un episodio inquietante. Questa vicenda emerge nero su bianco nell’ordinanza cautelare, che l’altro ieri hanno portato gli arresti 22 persone: 19 in carcere e tre ai domiciliari. Misura cautelare in carcere anche per Giannelli. Ma torniamo all’episodio contestato dalla Procura: i carabinieri intercettano Alessandro Giannelli in carcere, è ritenuto a capo dell’omonimo gruppo con base a Cavalleggeri d’Aosta e satellite dei Licciardi. I militari intercettano una conversazione telefonica, mentre fa la ‘imbasciata’ all’esterno del penitenziario. Va detto, al momento si tratta di contestazioni in base agli elementi raccolti dagli investigatori. I fatti devono essere accertati in sede processuale. Resta però un dettaglio importante per gli inquirenti e le forze dell’ordine, per esaminare il grado di pervasività delle cosche sul territorio. Il proprio territorio viene controllato capillarmente e assiduamente, anche attraverso i social.

Il ‘pizzo’ viene chiesto a chiunque svolta attività illecite nella zona di competenza. Emergenze nell’ordinanza cautelare: anche i Licciardi usano il ‘pizzo’ per controllare il territorio. L’altro ieri gli inquirenti hanno disarticolato la rete intorno a Paolo Abbatiello, ritenuto un uomo
di fiducia di Maria Licciardi (estranea all’inchiesta). Secondo l’inchiesta della Dda di Napoli e dei carabinieri, il clan Licciardi avrebbe intercettato il fiorente mercato delle truffe informatiche, arrivando a imporre il pizzo perfino ai cosiddetti ‘phisher’, gli autori di raggiri on-line. L’obiettivo è ‘fare cassa’: raccogliere dal territorio più denaro possibile. Un cambio di passo importante. Non più soltanto commercianti, imprenditori o gestori di attività sul territorio, dunque, ma anche truffatori del web costretti a versare una quota dei guadagni illeciti. Il gruppo dei Licciardi, storica articolazione dell’Alleanza di Secondigliano, avrebbe utilizzato la propria rete di clan satelliti per controllare i
proventi delle frodi digitali e imporre una vera e propria ‘tassa’ a chi operava nelle zone di influenza del ‘cartello’.

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