Schiavone: business a Capua con Verazzo. Antropoli? Legato a me

CASAL DI PRINCIPE – Il clan dei Casalesi, Carmine Antropoli e i fratelli Verazzo. A metterli insieme, a rivelare un collegamento tra la cosca, il politico e i costruttori è stato Nicola Schiavone. Le dichiarazioni del figlio di Sandokan, collaboratore di giustizia, sono state inserite negli atti di inchiesta a carico dell’ex sindaco di Capua e chirurgo del Cardarelli. “Vi dico subito – ha chiarito il pentito – che io con Antropoli non ho mai avuto contatti diretti, ma posso serenamente affermare che si trattava di un sindaco con il quale si rapportavano in maniera illecita i fratelli Giuseppe e Francesco Verazzo (non indagati ed innocenti fino a prova contraria, nda). Sono grossi imprenditori nel settore edile di Capua, ma originari di Casal di Principe, nonché miei imprenditori di estrema fiducia”.

Imprenditori di fiducia’

Con il boss i Verazzo avrebbero avuto una relazione diretta: “Erano tra i pochissimi imprenditori che potevano incontrarmi e parlarmi”.  Senza filtri. Il loro “era un rapporto talmente intenso” che il primogenito di Sandokan li avrebbe designati come suoi “rappresentanti (imprenditoriali) sul territorio di Capua”. “Intendo dire – ha aggiunto il collaboratore – che i Verazzo erano autorizzati da me a prendere decisioni in nome mio, in piena autonomia, salvo ratifica da parte mia che era sempre adesiva alla loro decisione”. 

La rappresaglia dei Nobis

Nicola Schiavone al pm Maurizio Giordano lo scorso ottobre ha elencato episodi specifici: “Per farvi un esempio, i Verazzo contattarono alcuni imprenditori del nolano per proporli come assegnatari di lavori che riguardavano la fibra ottica sui territori dell’agro aversano. La scelta di questa ditta venne fatta dai Verazzo che me li proposero ed io acconsentii”.

A sostegno del presunto legame che aveva con gli imprenditori capuani, il boss alla Dda ha riferito anche una seconda circostanza: “Riguarda Ciro Amodio (non indagato ed innocente fino prova contraria, nda), imprenditore del settore salumi del napoletano, il quale aveva acquistato un fondo rurale a Vitulazio o Capua, dove realizzare un allevamento di suini. Poiché questo fondo ricadeva sulla guardiani del fratello di Salvatore Nobis ‘Scintilla’, uno dei fratelli Amodio venne da me, accompagnato dai fratelli Verazzo, a casa di Pasquale Diana, per chiedermi di risolvergli un problema”. Anche il germano del boss di Casapesenna era interessato al fondo. Ma il titolare dell’area decise di venderla agli Amodio, ha raccontato Schiavone, “suscitando l’ira del Nobis”. L’incontro con il figlio di Sandokan, prima di iniziare i lavori su quel terreno, era finalizzato ad evitare “la rappresaglia dei Nobis”. 

Il teorema Schiavone

Clan, Verazzo e Antropoli: i tre ‘elementi’, per il padrino pentito, erano legati da un principio matematico. Ad affasciarli c’era una sorta di proprietà transitiva: gli imprenditori sarebbero stati uomini di fiducia del capoclan, l’ex primo cittadino interlocutore costante dei costruttori di origini casalesi. E da qui la convinzione di Schiavone di poter arrivare anche al sindaco di Capua. “Antropoli – ha chiarito Schiavone – era visto dai Verazzo come una persona con cui prendere impegni. Questa cosa mi venne poi confermata anche da Dante Apicella”.

L’affare immobiliare

A Capua il figlio di Sandokan avrebbe fatto anche affari in prima persona. “Vi posso parlare del mio investimento di 500mila euro con Domenico Pagano (non indagato ed innocente fino a prova contraria, nda)”. Si tratta del fratello dell’ex sindaco di Trentola Ducenta, Nicola Pagano, a processo per concorso esterno al clan dei Casalesi dinanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere. I soldi ‘impegnati’ da Schiavone erano finalizzati all’acquisto “in società di un immobile a Capua”. “Questa somma – ha proseguito il pentito – venne da me data a Giacomo Capoluongo, il quale a sua volta la diede a Pagano e dopo qualche giorno me ne diede pure conferma”. L’acquisto, ha confermato il collaboratore, venne realmente eseguito. “Effettuai questo investimento, che poi si tradusse in concreto nell’acquisto dello stabile di Capua, ma di cui non so che destinazione abbia avuto, pochi mesi prima di essere arrestato nel 2010”. 

Il mezzo milione del boss

Se Schiavone arrivò a mettere sul tavolo mezzo milione di euro è perché avrebbe avuto ‘fiducia’ nella politica locale. “Ero sereno – ha chiarito il pentito – che l’amministrazione comunale di Capua, nella persona di Antropoli, era legata ai Verazzo e dunque a me”.  Gli investigatori hanno accertato che Domenico Pagano è proprietario del 25% delle quote societarie della Immobiliare Generale srl. Attraverso questa società, dopo numerosi contatti telefonici e di persone con Antropoli, affermano gli inquirenti, proprio Pagano e Gabriele Repino (altro socio della Immobiliare, entrambi estranei all’inchiesta), chiesero ed ottenere il permesso a costruire rilasciato dal settore urbanistico relativo ‘al recupero funzionale per attività socio-sanitarie del fabbricato situato in Corso Gran Priorato di Malta, angolo via Seggio dei Cavalieri’.

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