Di Dario Borriello
Roma, 24 mar. (LaPresse) – La partita delle presidenze di Camera e Senato è finita: ora è tempo di formare il governo. L’asse tra Salvini e Di Maio ha funzionato come un meccanismo perfetto, il capo politico del M5S ha aperto la strada mostrando il suo lato istituzionale e dialogante, mentre il leader leghista ha usato i ‘muscoli’ per rimuovere tutti gli ostacoli, compresi i possibili ‘ritorni di fiamma’ per un Nazareno bis. Questa sincronica armonia non sarà passata di certo inosservata dalle parti del Colle, che ora avrà il compito di tirare le somme, sia numeriche che politiche, per dare all’Italia un nuovo esecutivo, pienamente operante e con una maggioranza che regga gli urti nazionali e internazionali.
Se due indizi fanno una prova, i nomi di Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico sono un pregevole biglietto da visita da presentare a Sergio Mattarella. Il metodo è ormai rodato, tanto che Di Maio ha già lanciato i primi segnali di fumo alle forze politiche: “Fatevi avanti per il bene del Paese”. Praticamente il sequel di un film di successo, la cui trama ha previsto sì il lieto fine, ma solo dopo una serie di colpi di scena e l’intervento risolutore del co-protagonista, Matteo Salvini. Che infatti ha affermato: “Prossimo obiettivo, far nascere un governo che abbia un programma chiaro e rispettoso del voto”. Una dichiarazione che, con parole diverse, ricalca quella rilasciata dal giovane leader pentastellato a bocce ferme: “Spero che dopo anni di governi che non aveva votato nessuno, i partiti possano prendere atto delle elezioni del 4 marzo”. Se il senso di queste parole è da interpretare letteralmente, la considerazione da fare è una sola: dalle urne, lo scorso 4 marzo, sono usciti due risultati, il M5S è il partito più votato d’Italia, mentre il centrodestra è la prima coalizione.
Una volta messi insieme questi elementi, salta all’occhio un altro particolare. Anzi, una parola chiave, “compattezza”, utilizzata sia da Di Maio che da Salvini. Il primo per dire che i Cinquestelle hanno “dimostrato di essere compatti e affidabili”, il secondo per esprimere il suo “orgoglio” per la “compattezza del centrodestra”. Similitudini che non sembrano essere solo semantiche, perché il test delle presidenze delle Camere ha dimostrato con i fatti che un asse Lega-M5S può esistere ed essere determinante per sbloccare le impasse istituzionali. Sui programmi, poi, ci sarà tutto il tempo di verificare se esistono compatibilità o convergenze possibili. Partendo da temi comuni, come la revisione o abolizione totale di leggi tipo la riforma Fornero delle pensioni o l’abolizione dei vitalizi, in un domani non troppo lontano potrebbero anche arrivare a osare di più, magari a creare ricette economiche che tengano insieme il sovranismo leghista e la revisione della spesa pubblica pentastellata. Ma questo è uno scenario eccessivamente futuristico.
Anche perché restano da risolvere problemi non di poco conto, come (soprattutto) l’alleanza di Salvini con Silvio Berlusconi. I grillini hanno accettato di cedere un ramo del Parlamento a Forza Italia, ma di certo non digerirebbero il sostegno comune a un governo indicato dal Quirinale. Un ostacolo che toccherà proprio al segretario federale della Lega rimuovere, in continuità con il film già visto per Camera e Senato. Solo che questa volta a gestire la nuova partita sarà il Colle, che pretenderà un gioco pulito e lineare. In ballo c’è il futuro del Paese in un momento di ripresa economica, servono testa e muscoli. Caratteristiche che Di Maio e Salvini hanno già dimostrato di avere e di sapere anche usare.