NAPOLI – La centrale nucleare del Garigliano è stata disattivata 40 anni fa, ma nonostante un fiume di denaro pubblico messo a disposizione, non è stata definitivamente smantellata. Lo stato di avanzamento dei lavori è al 30%, praticamente l’1% all’anno. Per una spesa complessiva, finora, di 4,2 miliardi di euro. La struttura di Sessa Aurunca era stata fermata per manutenzione nel 1978, ma i lavori vennero ritenuti poco convenienti. Fu la fine. Poi il referendum del 1987, con il quale gli italiani hanno deciso di chiudere definitivamente con il nucleare, ha dettato la strada da seguire.
I soldi delle bollette e i costi lievitati
Una scelta che i cittadini pagano ancora oggi alla voce A2+Mct della bolletta elettrica: quelle risorse vengono messe a disposizione della Sogin, società statale attualmente guidata dal presidente del Cda Luigi Perri, che dal 1999 si occupa del processo di smantellamento delle 4 centrali nucleari presenti sul territorio nazionale (Trino Vercellese, Caorso e Latina le altre tre). Da allora sono stati spesi oltre 4 miliardi. E i lavori sono avanzati con una lentezza sconfortante. Per mancanza di autorizzazioni, ha ribadito la società a più riprese. Fatto sta che con un risultato di avanzamento dell’1% circa all’anno per 23 anni, qualunque società privata avrebbe chiuso i battenti e dichiarato fallimento. Ma i soldi, in questo caso, sono quelli dei cittadini che pagano mensilmente e passano per uno Stato che troppe volte ha fatto finta di niente. Quella di Sogin è una storia ultraventennale di spese impressionanti, di consulenze, lauti stipendi pagati a manager indicati da ogni tipo di forza politica che si è alternata al governo, di paure ambientali, di risultati mai raggiunti. Basta guardare le stime che la stessa società faceva nel 1999. Nel primo bilancio della Sogin, infatti, si indicano i costi da sostenere per completare lo smantellamento delle 4 centrali entro il 2020: 3 miliardi di euro circa comprensivi di costi del personale e altri oneri (sui documenti sono indicate in lire queste cifre, è passato davvero tanto tempo). Oggi siamo a 1,2 miliardi spesi in più e a nessuna centrale nucleare è stata smantellata. Quella di Sessa Aurunca avrebbe dovuto essere la prima, visto che era stata disattivata già prima, unica delle 4, del referendum antinucleare. Il tutto a spese dai cittadini.
La bocciatura del ministro
Ora, però, il governo sembra essere deciso a intervenire. Lo aveva già fatto capire il ministro Roberto Cingolani in audizione alla Camera, confermando quanto disastrosa sia la situazione: “E’ evidente che la storia di Sogin sia critica, nel senso che i costi sono lievitati enormemente per decenni a fronte di uno stato di avanzamento dei lavori che non è soddisfacente, perché non ha coperto le percentuali che ci aspettavamo. C’è una crescita di spesa a fronte di un insoddisfacente raggiungimento del piano”. Parole dure. La società ha replicato prontamente, spiegando che è colpa delle autorizzazioni che non arrivano mai e del fantomatico deposito nazionale per le scorie nucleari su cui Sogin sta ancora ragionando (“il 14 gennaio 2022 si è chiusa la seconda fase, avviata con la pubblicazione degli Atti conclusivi del Seminario Nazionale, di invio di osservazioni e proposte tecniche, ha fatto sapere la società”).
“Sogin costa anche se sta ferma”
Perché costa tanto? A spiegarlo è stato l’amministratore delegato Emanuele Fontani, sempre in commissione a Montecitorio: “Sogin costa anche se sta ferma, perché deve mantenere la sicurezza dei siti nucleari; il mantenimento della sicurezza vuol dire presidiare, fare attività di verifica, controllare, e di conseguenza il non fare, il non avanzare”. E, infatti, poco si è fatto. Ma i costi sono lievitati e anche gli stipendi ai manager, piuttosto lauti, sono stati puntualmente pagati grazie a quella magica voce nella bolletta elettrica che mensilmente viene recapitata alle famiglie italiane. E lo stesso Fontani, oltre ai 140mila euro lordi che riceve di stipendio, è finito nell’occhio del ciclone per le indennità di trasferta. L’ad vive e lavora a Roma, ma la sua sede di lavoro è fissata per contratto in un paese del Piemonte e per questo avrebbe ricevuto alcune migliaia di euro in più. E non sorprende troppo visto che la Sogin paga all’anno circa 1,3 milioni di euro di indennità di trasferta. “Sogin costa anche se sta ferma”. A quanto pare a muoversi sono solo i dirigenti, perché lo smantellamento delle centrali avanza a passi da pachiderma dal 1999. Tutto con i soldi di quelle tasse che vanno sempre pagate, anche quando questi sprechi rappresentano un attentato alla civiltà degli italiani.
La stangata in arrivo
Troppe stranezze, troppi soldi spesi, troppi occhi addosso anche da parte di alcuni media nazionali, per far finta di nulla. Pochi giorni fa la Guardia di Finanza ha fatto visita agli uffici della Sogin per sequestrare alcuni documenti, come confermato dall’inchiesta del Corriere della Sera che ha posto l’accento sugli sprechi della società. E i ministri Cingolani e Daniele Franco hanno deciso di procedere con il commissariamento della società. Tabula rasa. Forse troppo tardi dopo che lo Stato non ha controllato il suo stesso operato per vent’anni, ricordandosi però di far pagare il conto a tutti i suoi cittadini con la voce A2+Mct.
Il progetto infinito
Se nei prossimi giorni arriverà un nuovo commissario dovrà ripartire dai dati di oggi. E cominciare con l’ammettere che c’è stato un disastro vero, enorme, pagato dalla gente. Anche perché la stessa Sogin due anni fa ha spostato la data di fine interventi al 2035, con una spesa prevista di altri 2,3 miliardi di euro. Per lavori che sarebbero dovuti terminare nel 2020, per un costo già superato di 1,2 miliardi. Un disastro senza fine. Una vergogna nazionale.
La disperata virata: sospesi 3 dipendenti
La parola ‘commissariamento’ ha convinto i vertici della Sogin, per provare a salvare il salvabile ed evitare di andare a casa, a tentare l’ultima mossa disperata. Finora c’è stata poca trasparenza sulle attività della società, che ha spesso goduto del silenzio di testate giornalistiche compiacenti. Ma gli ultimi scandali emersi hanno messo spalle al muro i manager. E ieri la Sogin ha annunciato di aver portato avanti una indagine interna su otto dipendenti, sette dei quali hanno una posizione dirigenziale, per fatti avvenuti tra il 2010 e il 2020. Un tentativo, unito alla pubblicazione dell’aggiornamento sullo stato del decommissioning, finalmente sbarcato chiaramente sul sito poche settimane fa, scattato “per ragioni di natura economica e di bilancio, e finalizzato a verificare la regolarità delle fasi di acquisizione e gestione di contratti riguardanti il periodo 2010-2020. Sono state consegnate otto lettere di contestazione ad altrettanti dipendenti, sette dei quali dirigenti, ai quali è stato chiesto di produrre gli elementi informativi necessari per chiarire la loro posizione. Nell’attesa di ricevere tale materiale, in via cautelativa, è stata disposta contestualmente la sospensione dal servizio per tre di loro. Per garantire la funzionalità degli uffici collegati al personale interessato dalle indagini interne la società ha provveduto a trasferire provvisoriamente le responsabilità che, comunque, non sono direttamente collegate alle attività di decommissioning”, hanno spiegato dalla Sogin. Nonostante i costi lievitati, i tempi dilatati all’infinito, società statale parla di “totale trasparenza” e assicura di garantire “la piena collaborazione alle Autorità competenti e agli organi di controllo interno e nel contempo confida che i dipendenti possano chiarire rapidamente la loro posizione. Qualora fossero accertati comportamenti e responsabilità individuali in danno alla società saranno avviate le necessarie, ulteriori, azioni a tutela della reputazione e dell’onorabilità della società che lavora per garantire ogni giorno la sicurezza per i cittadini e l’ambiente”. Dopo 30 anni di spese nebulose si tenta una forte virata, almeno nelle dichiarazioni. Ma potrebbe non bastare a evitare il commissariamento.
©RIPRODUZIONE RISERVATA