Soldi dei Casalesi in Toscana, perquisizioni per 17 indagati

Contestati a vario titolo riciclaggio, trasferimento fraudolento di beni e bancarotta. Un giro di false fatture e prestanomi nel mirino della Dda.

I soldi di Vincenzo Ferri, alias ‘o califfo, già a processo per concorso esterno in associazione mafiosa, investiti nelle società di imprenditori dell’Agro aversano trapiantati a Grosseto: è la traccia investigativa seguita dai pubblici ministeri Giulio Monferini e Leopoldo De Gregorio. E per approfondirla, ieri mattina, i militari della guardia di finanza, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, hanno perquisito abitazioni e uffici di 17 persone per prelevare documenti, telefoni e computer.

Oltre che a quella di Ferri, i militari del Gico hanno bussato alle porte di Patrizio Amore, 79enne di Roma, Andrea Assini, 52enne di Monte Argentario, Monica Del Giacco, 34enne con radici partenopee, Cristina De Santi, 53enne di Sacile, e Giuseppe Russo, 61enne di Messina. I finanzieri di Firenze e Vicenza hanno fatto visita anche a casa di Francesco Fabozzo, 64enne originario di Casaluce, e della consorte Santina Abategiovanni, 62enne originaria di San Marcellino (entrambi si sono trasferiti a Grosseto), e alle dimore dei loro due figli, Luigi, 37enne, e Teresa, 41enne (anche loro adesso residenti in Toscana).

Sono state perquisite pure le abitazioni di Francesco Ferrigno, 43enne di Grosseto, Roberto Ghizzardi, 54enne di Trenzano, Giorgio Manuzzato, 64enne di Sovizzo, di Angelo Russo, 49enne di Villa Literno, e del fratello Mario, 53enne, di Giampaola Ruzza, 66enne di Peio, e Antonio Sglavo, 45enne di Aversa che ha messo radici in Toscana. Gli investigatori, inoltre, hanno prelevato documenti e dispositivi informatici dagli uffici di 26 aziende che hanno sede tra Grosseto, Quarto, Gricignano d’Aversa, Roma, Tora e Piccilli, Casal di Principe, Vitulazio, Santa Maria Capua Vetere, Brescia, Sacile, Verona, Fontanafredda e Melegnano.

Secondo la tesi dei pm Monferini e De Gregorio, Francesco Fabozzo, con il supporto dei figli Luigi e Teresa, avrebbe impiegato denaro proveniente da ipotizzate attività criminali condotte da Ferri, connesse al clan dei Casalesi, nella Delfa Costruzioni. Questa società, in base a quanto accertato dai finanzieri, è amministrata di fatto da Fabozzo e solo formalmente intestata a Monica Del Giacco. L’attenzione della Dda è focalizzata su un versamento, tramite assegni e bonifici, di complessivi 280mila euro da parte di società ritenute riconducibili a Ferri proprio alla Delfa.

Ferri, assistito dal legale Ferdinando Letizia, è già imputato in un processo per i suoi presunti rapporti con il clan dei Casalesi, innescato da un’indagine tesa a far luce sulle ingerenze di imprenditori legati agli Schiavone negli appalti pubblici gestiti dalla provincia di Caserta (nei primi anni del Duemila). ‘O califfo sarebbe stato artefice di un sistema di false fatturazioni sfruttato dai businessman per far arrivare quote dei loro proventi alle cosche. Restando in tema, ai tre Fabozzo e alla Del Giacco viene contestata dalla Dda di Firenze anche l’ipotesi di aver emesso false fatture per giustificare i soldi che le ditte della galassia Ferri avevano versato alla Delfa.

L’inchiesta delle fiamme gialle avrebbe fatto emergere anche un giro di prestanome usati per schermare le società. Francesco Fabozzo, secondo l’accusa, ha intestato solo fittiziamente, come già detto, la titolarità della Delfa a Monica Del Giacco, e lo stesso avrebbe fatto con Ferrigno in relazione alle quote della Eco Costruzioni, con Antonio Sglavo per la S.A. Costruzioni, nuovamente con la Del Giacco e con la figlia Teresa in relazione alla Effe 2 Costruzioni, con il figlio Luigi e con la consorte Abategiovanni per la Fertilya Immobiliare.

Fabozzo, a detta dell’Antimafia, per sfuggire ad eventuali misure di prevenzione patrimoniale, avrebbe pure attribuito alla ditta Terrarossa, rappresentata da Andrea Assini, ma di fatto riconducibile a Patrizio Amore, la titolarità di appartamenti situati a Monte Argentario, località Poggio Frati, per un valore di 2 milioni e 160mila euro. Le persone che secondo la Dda di Firenze hanno aiutato l’uomo d’affari originario di Casaluce a tessere questa rete di società rispondono di trasferimenti fraudolenti di beni.

Indagando sull’imprenditore 64enne, il Gico ha raccolto elementi anche riguardanti un’ipotesi di bancarotta in relazione alla società Riviera con sede a Verona. A chi viene contestata? A Fabozzo, a D’Urso, Ruzzo, Ghizzardi, Angelo e Mario Russo, questi ultimi rappresentati dall’avvocato Guglielmo Ventrone, Manuzzato e De Santi. Con ruoli diversi avrebbero trasferito fraudolentemente denaro, materiali, attrezzature e contratti d’appalto di proprietà della Riviera per complessivi 4 milioni e 908mila euro ad altre aziende.

Il tutto, dice l’accusa, sarebbe stato fatto dai fratelli Russo, da Fabozzi e da D’Urso per agevolare il clan dei Casalesi. Proprio D’Urso, al momento in carcere, è stato coinvolto nel 2011 nell’inchiesta ‘Apogeo’ tesa a tracciare i legami tra imprenditori e clan dei Casalesi in alcuni business nel settore dell’edilizia in Umbria.

I 17 indagati sono da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Si tratta di un’inchiesta che è ancora in corso e quindi nel suo prosieguo potrebbe emergere anche l’estraneità delle persone che ieri hanno ricevuto la visita dei finanzieri alle ipotesi di reato per ora contestate.

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