Soldi del clan dei Casalesi investiti in Toscana: sequestrati beni per 782mila euro

Bloccati conti e immobili riconducibili a 10 delle 17 persone implicate nell’inchiesta della Dda

VILLA LITERNO – Era novembre dell’anno scorso quando le fiamme gialle, su ordine dei pm Giulio Monferini e Leopoldo De Gregorio della Dda di Firenze, perquisirono abitazione e uffici di 17 persone per prelevare documenti, telefoni e computer. Un’attività investigativa che si è mossa sulle tracce dei soldi che Vincenzo Ferri (nella foto), di Frignano, alias ‘o califfo, già a processo per concorso esterno in associazione mafiosa, sarebbero stati investiti nelle società di imprenditori dell’Agro aversano con interessi a Grosseto.

Ieri, a 10 mesi da quei blitz, è arrivato il primo concreto risultato investigativo: un decreto di sequestro preventivo emesso dall’ufficio Gip del Tribunale di Firenze nei confronti di 10 dei 17 indagati. La misura ha l’obiettivo di recuperare, mettendo sigilli a disponibilità finanziarie su conti correnti e su beni immobili, fino al raggiungimento della somma di 782 mila euro. Tra i destinatari del sequestro ci sarebbe Francesco Fabozzo, 64enne originario di Casaluce, ma da anni trapiantato a Grosseto, altri due soggetti a lui vicini, Giampaolo Ruzza, 67enne, Roberto Ghizardi, 55enne, Cristina De Santi, 54enne; Giuseppe D’Urso, 62enne (coinvolto nel 2011 nell’inchiesta ‘Apogeo’, tesa a tracciare i legami tra imprenditori e clan dei Casalesi in alcuni business nel settore dell’edilizia in Umbria) e i fratelli  e Angelo Russo, di Villa Literno.

L’attività investigativa, condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Firenze – Gigco e da quello di Vicenza, in collaborazione con la sezione ‘Mezzi tecnici’ dello Scico di Roma, ha permesso di individuare, sostiene la Procura, un imprenditore, da anni stabilitosi nel grossetano, che avrebbe reimpiegato, in una società attiva nel settore edile, con sede a Grosseto, denaro illecitamente proveniente dal clan. L’uomo d’affari in questione sarebbe Fabozzo, che, secondo l’accusa, avrebbe contribuito, insieme ad altri soggetti, anche al “depauperamento e al fallimento, avvenuto nel 2020, di una società di costruzione con sede a Verona.”

Ai coinvolti in questa inchiesta, lo scorso maggio la Procura ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Oltre ai 7 destinatari del sequestro citati, risultano inquisiti Vincenzo Ferri, alias 44enne di Frignano; Patrizio Amore, 80enne di Roma; Andrea Assini, 53enne di Monte Argentario; Monica Del Giacco, 35enne con radici partenopee; Santina Abategiovanni, 63enne originaria di San Marcellino (consorte di Fabozzo) ma trasferitasi in Toscana, e i suoi due figli, Luigi, 38enne, e Teresa, 42enne (anche loro ora residenti in Toscana). Nell’elenco degli indagati figurano anche Francesco Ferrigno, 44enne di Grosseto, Giorgio Manuzzato, 66enne di Sovizzo, e Antonio Sglavo, 46enne di Aversa, che ha messo radici in Toscana.

Ai 17, da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile, vengono contestati, a vario titolo, i reati di riciclaggio, trasferimento fraudolento di beni e bancarotta (l’aggravante mafiosa è ascritta solo ai Fabozzo, alla Del Giacco e a Ferri). Nel collegio difensivo figurano gli avvocati Guglielmo Ventrone, Ferdinando Letizia, Alessandro Bertolini, Marco Florit, Giorgio Amato, Luca Vasselli e Alessandro Cerboni.

Secondo la tesi dei pm Monferini e De Gregorio, Francesco Fabozzo, con il supporto dei figli Luigi e Teresa, avrebbe impiegato denaro proveniente da presunte attività criminali condotte da Ferri, connesse al clan dei Casalesi, nella Delfa Costruzioni. Questa società, in base a quanto accertato dai finanzieri, è amministrata di fatto da Fabozzo e solo formalmente intestata a Monica Del Giacco. L’attenzione della Dda è focalizzata su un versamento, tramite assegni e bonifici, di complessivi 280 mila euro da parte di società ritenute riconducibili a Ferri proprio alla Delfa.

Ferri è già imputato in un processo per i suoi presunti rapporti con il clan dei Casalesi, innescato da un’indagine tesa a far luce sulle ingerenze di imprenditori legati agli Schiavone negli appalti pubblici gestiti dalla provincia di Caserta nei primi anni Duemila. ‘O Califfo sarebbe stato artefice di un sistema di false fatturazioni sfruttato dai businessman per far arrivare quote dei loro proventi alle cosche. Ai tre Fabozzo e alla Del Giacco viene contestata dalla Dda di Firenze anche l’ipotesi di aver emesso false fatture per giustificare i soldi che le ditte della galassia Ferri avevano versato alla Delfa.

L’inchiesta delle fiamme gialle avrebbe fatto emergere anche un giro di prestanome usati per schermare le società. Francesco Fabozzo, secondo l’accusa, ha intestato solo fittiziamente, come già detto, la titolarità della Delfa a Monica Del Giacco, e lo stesso avrebbe fatto con Ferrigno in relazione alle quote della Eco Costruzioni, con Antonio Sglavo per la S.A. Costruzioni, nuovamente con la Del Giacco e con la figlia Teresa in relazione alla Effe 2 Costruzioni, con il figlio Luigi e con la consorte Abategiovanni per la Fertilya Immobiliare.
Fabozzo, a detta dell’Antimafia, per sfuggire a eventuali misure di prevenzione patrimoniale, avrebbe attribuito alla ditta Terrarossa, rappresentata da Andrea Assini, ma di fatto riconducibile a Patrizio Amore, la titolarità di appartamenti situati a Monte Argentario, località Poggio Frati, per un valore di 2 milioni e 160 mila euro.

Indagando sull’imprenditore 64enne, il Gico ha raccolto elementi anche riguardanti un’ipotesi di bancarotta in relazione alla società Riviera con sede a Verona. A chi viene contestata? A Fabozzo, a D’Urso, Ruzza, Ghizzardi, Angelo e Mario Russo, Manuzzato e De Santi. Con ruoli diversi, avrebbero trasferito fraudolentemente denaro, materiali, attrezzature e contratti d’appalto di proprietà della Riviera per complessivi 4 milioni e 908 mila euro ad altre aziende. Il tutto, secondo l’accusa, sarebbe stato fatto dai fratelli Russo, da Fabozzo e da D’Urso per agevolare il clan dei Casalesi.

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