CASAL DI PRINCIPE – Non solo estorsioni e droga, ma un vero e proprio sistema di assistenza sociale per le famiglie degli affiliati al clan dietro le sbarre. È lo spaccato che emerge dall’in- chiesta che vede come figura centrale Pasquale Apicella, indicato dalla Dda come il capo e l’organizzatore di un sodalizio camorristico capace di rigenerarsi e mantenere saldi i legami tra la libertà e il carcere. Secondo le risultanze investigative, Apicella non si limitava a dirigere le attività illecite, ma fungeva da vero e proprio “manager” del clan. Le riunioni operative avvenivano spesso nella sua abitazione o su terreni agricoli nella sua disponibilità: luoghi ritenuti sicuri dove pianificare il racket agli imprenditori, il traffico di stupefacenti e la gestione delle entrate. Apicella è descritto come un perno diplomatico della camorra dei Casalesi, capace di dialogare con esponenti di spicco delle varie fazioni dei Casalesi (come Aldo Picca, Davide Grasso e Salvatore De Santis) e con emissari di clan dell’area napoletana e vesuviana, tra cui gli Aquino, i Catapano e i Cortese.
Al fianco del capoclan operavano Maria Giuseppa Cantiello, la moglie e Vincenzo Cantiello, il cognato. Il loro ruolo era operativo e strategico. Stando all’inchiesta, seguendo le direttive di Apicella, si occupavano di estorsioni con la pressione diretta sugli imprenditori del
territorio. Tra gli altri affari illeciti ipotizzati anche le truffe assicurative con un canale di guadagno “pulito” e sistematico. Nel mercato del falso si è registrato il commercio di banconote contraffatte. e nelle relazioni relazioni con i pentiti sono stati ipotizzati contatti con soggetti come Antonio Lanza e Vincenzo D’Angelo, attuali collaboratori di giustizia, per la gestione dei territori. Il welfare del clan invece si esplicava in denaro, vestiti e “pacchi” per i detenuti. L’inchiesta mette a nudo il meccanismo con cui il clan manteneva il consenso e la fedeltà degli associati. Una parte cospicua dei proventi illeciti veniva destinata al sostentamento dei detenuti e delle loro famiglie.
Il sistema, attivo almeno dal 2021 fino a tutto il 2023, prevedeva la consegna periodica di somme di denaro contante per le necessità quotidiane. Ma anche abiti e generi di prima necessità, i cosiddetti “pacchi”, recapitati direttamente ai familiari dei reclusi. oltre a spese legali, garantendo la difesa tecnica agli associati come forma di protezione totale. Tra i beneficiari di questo sistema di ricettazione aggravata dal metodo mafioso figurano i nuclei familiari di Salvatore e Vincenzo Cantiello, Augusto Bianco e Daniele Corvino. Il ruolo di “ufficiale pagatore” o intermediaria per le consegne era spesso ricoperto da Maria Giuseppa Cantiello, che fungeva da ponte tra il capo e i familiari dei detenuti (tra cui figurano indagate Teresa Bianco, Anna Cammisa, Teresa Corvino e Silvana Panaro).
L’inchiesta dimostra come la fazione guidata da Apicella avesse trasformato la solidarietà criminale in una regola ferrea: chi finisce in carcere
non viene abbandonato, a patto che il flusso di denaro dalle attività illecite (droga e truffe in primis) continui ad alimentare la cassa comune.
Un sistema circolare che ha permesso al clan di operare indisturbato tra Casal di Principe e i comuni limitrofi per anni. Sono indagati a piede libero per ricettazione dei soldi che avrebbero ricevuto dal clan dei Casalesi, fazione Schiavone.




















