AFRAGOLA – Una vera e propria guerra tra bande criminali in quella che per anni è stata (e forse è ancora) la roccaforte di uno dei clan più potenti d’Italia, i Moccia. La notte, in provincia di Napoli, ha i suoi silenzi che vengono squarciati solo dal suono secco della violenza. In via Sportiglione, all’esterno del Parco Sant’Antonio (prima di finire in carcere, casa dei boss del clan Moccia), il silenzio è stato frantumato da una scarica sorda e ravvicinata che ha portato il piombo e il terrore davanti a un bar. Quindici bossoli a terra, tre giovani feriti e la certezza agghiacciante che chi ha premuto il grilletto non cercava un avvertimento: voleva uccidere. L’agguato ha riacceso i fari inquietanti sulla stabilità criminale nell’area nord di Napoli.
I carabinieri della compagnia di Casoria sono arrivati trovando il selciato intriso di sangue e le tracce di un’esecuzione mancata: una pioggia di bossoli di calibri diversi, prova che a sparare non è stato un singolo esagitato, ma un commando organizzato, mosso da un intento preciso e chirurgico. Si sono mossi con la freddezza di professionisti. Un’auto in corsa, l’individuazione rapida del bersaglio e poi il fuoco incrociato, esploso a distanza ravvicinata. I feriti sono tre, tutti soccorsi tra le urla e la concitazione dei pochi presenti, e trasportati d’urgenza tra il Cardarelli di Napoli e l’ospedale San Giovanni di Dio di Frattamaggiore. Fortunatamente, per nessuno di loro le ferite si sono rivelate mortali: il diciottenne colpito alla nuca, un ventottenne raggiunto alla spalla, e l’altro coetaneo all’addome.
L’analisi dei 15 proiettili repertati dagli uomini del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna ha rafforzato immediatamente il sospetto: non
si è trattato di una rissa degenerata o di un’azione impulsiva. La pluralità di armi utilizzate, i colpi esplosi con mira e la dinamica “militare”
dell’arrivo e della fuga, urlano la cifra della criminalità organizzata. Si spara in questo modo quando si devono regolare i conti, ristabilire equilibri o punire tradimenti in un territorio dove il controllo delle piazze di spaccio e dei traffici illeciti è materia di guerra costante. Le indagini si concentrano ora sui profili delle vittime, un mosaico che potrebbe rivelare la chiave di lettura dell’agguato. Nicola Bassolino, 18
anni, risulta ‘schedato’ per questioni legate allo spaccio di stupefacenti; Antonio Patriciello, 28 anni, ha precedenti per contrabbando di ta
bacchi lavorati esteri, attività che da sempre finanzia le casse dei clan locali. I loro nomi tracciano il perimetro di un’azione punitiva o di un avvertimento tra sversale che affonda le radici nel circuito dei traffici illeciti che infestano l’area nord. La camorra, attraverso queste scariche di piombo, non si limita a eliminare: in questo modo comunica, lascia messaggi indelebili sulla pelle dei rivali o degli affiliati che hanno sgarrato.
L’elemento che complica il quadro e aggiunge una nota amara alla vicenda è la presenza di Federico Moccia, l’altro 28enne, che risulta essere incensurato. La sua figura è al momento il punto interrogativo più doloroso dell’inchiesta: era una vittima casuale, nel posto sbagliato al momento sbagliato, accanto ai veri bersagli? Oppure i suoi legami, apparentemente limpidi, nascondono frequentazioni che lo hanno reso un obiettivo collaterale o, peggio, l’oggetto di un regolamento di conti ancora da decifrare? Nelle prossime ore, gli investigatori analizzeranno ogni frame delle telecamere di sorveglianza della zona, cercando di ricostruire l’identità del commando e l’auto utilizzata per la fuga. Fondamentale sarà anche l’ascolto dei testimoni e, non appena le condizioni cliniche lo permetteranno, dei feriti stessi, per forzare quel muro di silenzio (o omertà) che spesso circonda queste dinamiche.
Il Parco Sant’Antonio, da due decenni centro nevralgico della movida, vanta un precedente: era il 23 settembre 2020 quando un commando aprì il fuoco all’impazzata. Dal decreto di fermo della Dda di un blitz dell’ottobre 2022 si apprese che Vittorio Parziale, ras del rione Salicelle, in video colloquio con il padre Nicola Luongo, mostrò con lo smartphone l’articolo di ‘Cronache di Napoli’ sulla vicenda e batté “il palmo della mano sul suo petto rivendicando palesemente la paternità dell’accaduto”.